Nei giorni a seguire il popolo distrusse il muro e con il passare dei mesi fu chiaro come con esso non fosse crollato solo cemento, ma un’intera coalizione
di Valentina Milite
Il 9 novembre 1989 la caduta del muro di Berlino segnava un punto di svolta nella storia dell’Europa e nell’assetto politico internazionale. A 30 anni da quel giorno cosa ci rievoca quell’evento e cosa ha da insegnarci in un contesto politico come quello attuale in cui si riparla di costruire muri e chiudere frontiere?
Con la fine della seconda guerra mondiale era evidente come sullo scacchiere internazionale fra le potenze vincitrici, le due maggiori, ora in contrapposizione per il primato, fossero gli Stati Uniti col loro modello politico-economico di democrazia capitalista e l’URSS comunista.
Le relazioni fra le due andarono col tempo sempre più raffreddandosi, tanto da non permettere più una reale collaborazione ed instaurando un clima di sospetto e diffidenza in ambito diplomatico, poi denominato della “guerra fredda”.
Emblema tangibile di questa contesa ideologica e politica, fu senza dubbio il muro di Berlino. La capitale tedesca era stata infatti divisa, come l’intera Germania in una parte occidentale, sotto il controllo di USA, Francia ed Inghilterra ed una orientale, occupata dall’URSS.
Se la divisione dapprincipio era solo amministrativa, a seguito della consistente emigrazione dei tedeschi orientali nella più ricca e liberale Germania dell’Ovest, divenne reale quando la Repubblica Democratica Tedesca filosovietica decise di costruire delle vere e proprie mura per tracciare i confini tra le due parti ed impedirne gli attraversamenti. Una barriera di cemento armato, lunga circa 155 Km, alta 3,6 metri e costeggiata di filo spinato, fossati anticarro e torri di guardia presiedute da cecchini, chiamata evocativamente “striscia della morte”, che a caro prezzo della vita e della libertà del popolo tedesco assolse effettivamente alla sua funzione per ben 28 anni.
Fu solo grazie ad un problema diplomatico che coinvolse i Paesi confinanti e la conseguente intercessione del ministro degli esteri della Germania federale, di diplomatici, nonché le continue rimostranze e manifestazioni dei cittadini tedeschi nella famosa Alexanderplatz e l’indignazione dell’intera comunità internazionale che il 9 novembre 1989 la Germania dell’Est revocò il divieto di attraversamento e lo stesso giorno migliaia di berlinesi attraversarono il muro e poterono finalmente ricongiungersi ai propri familiari.
Nei giorni a seguire il popolo distrusse il muro e con il passare dei mesi fu chiaro come con esso non fosse crollato solo cemento, ma un’intera coalizione. Gli Stati comunisti europei vissero un’ondata rivoluzionaria che portò al rovesciamento dei governi filosovietici. L’URSS non era più in grado di trattenere al suo interno molte Nazioni, ormai resesi indipendenti e nel dicembre del 1991 si scioglieva definitivamente. La guerra fredda era ufficialmente terminata. Ma era effettivamente così? Qual è la sua eredità oggi? Quale momento storico stiamo vivendo ora?
La guerra fredda sarà forse finita, ma era solo la denominazione artificiale data ad un clima politico internazionale di incertezza ed instabilità, di conflitti minacciati e sempre pronti ad esplodere, come è poi di fatto accaduto negli anni a seguire, cambiando il teatro del conflitto, con differenti scenari e motivazioni nazionali particolari, ma con sullo sfondo gli stessi interessi ed interferenze politiche e militari da parte di USA e Russia, come ad esempio nella guerra del Golfo in Medio Oriente, la guerra del Vietman, le guerre jugoslave nei Balcani, e come tutt’oggi accade in varie zone del mondo con episodi più o meno espliciti di influenza politica, ingerenza economica e violenza bellica che non riempiono ancora i libri di storia, ma i nostri quotidiani, in una contesa per la supremazia politico-economica e la gestione delle risorse che nel tempo potrà veder cambiare gli attori o farvi il loro ingresso di nuovi, ma che si prevede difficilmente sanabile.Chi continua a poter avere un ruolo decisivo in questo è la comunità internazionale, la mobilitazione popolare e la coscienza collettiva politica e sociale perché si erga a difesa dei propri diritti, della salvaguardia delle persone prima degli interessi economici e politici e non sia, come spesso nella storia, strumento manovrabile nelle mani di potenze che sembrano inattaccabili, ma il cui fulcro risiede in realtà nella forza del sostegno popolare.
Che questo anniversario ricordi quindi a tutti che anche i muri di cemento possono essere abbattuti dalla volontà e la coscienza popolare di poter cambiare un mondo che si desidera diverso, che unisca e non separi più; perché ciascuno possa avere potenzialmente le stesse possibilità indipendentemente da dove si trovi geograficamente su questo pianeta che è di tutti e che tutti abbiamo il diritto e dovere di preservare e se possibile, migliorare.