La grande étoile e coreografa, ospite di Dancestudio, Luc Bouy e Gaetano Petrosino: «Forse abitavo a piazzetta Guerritore. La Nocerina fu la prima squadra allenata da papà»
di Gigi Di Mauro
«Sa, ero piccola, ma credo proprio che abitassi qui, in questa piazzetta (piazza Guerritore, ndr). Di quel periodo ricordo che ci fu un’eruzione del Vesuvio (4-10 giugno 1929, ndr) e che ci fecero scendere di notte. Io dormii in un carretto e al ritorno ricordo che le mura di casa si erano alzate di 10 centimetri».
Così la prima ballerina, grande coreografa e maestra di danza Susanna Egri, figlia Ernst Egri Erbstein, scava nei suoi ricordi di bimba di tre anni ricordando il suo soggiorno a Nocera Inferiore tra il 1929 e il 1930. In quell’anno il papà, poi immenso allenatore di tante squadre tra cui il “Grande Torino“, con cui perì nel tragico incidente di Superga, nel 1949, allenò la Nocerina. «Fu proprio la Nocerina la sua prima squadra», continua la signora Egri, ancora attivissima con la sua Fondazione Egri per la Danza e la direzione artistica della Compagnia EgriBiancoDanza, coadiuvata dal coreografo Raphael Bianco, oltre la scuola dove insegna tutti i giorni.
La signora Egri, è ospite, oggi e domani, 12 maggio, di Dansepartout e del Dancestudio di Daniela Buscetto, diretta dai maestri Luc Bouy e Gaetano Petrosino. Sovrintenderà, insieme al maestro Alex Atzewi, agli esami dei corsi di danza classica, moderna e contemporanea per l’anno accademico 2018-19, che si svolgeranno fino a domani al Teatro Diana di Nocera Inferiore. «Mi complimento con questa città – ci dice – pensavo di trovare un teatrino di provincia e invece mi ritrovo in questa bellissima struttura, un signor teatro». La signora Egri è l’autrice della più apprezzata coreografia de “L’Aida” mai andata in scena all’Arena di Verona. E anche su questo ha dettagli curiosi da raccontarci: «L’Arena fu destinata per la prima volta a spettacoli lirici nel 1913, ed il primo spettacolo fu proprio L’Aida. Nell”82 la Soprintendenza ha deciso di riproporre quell’Aida. C’erano sì dei figurini per i costumi, le scene. Ma come si faceva a riprodurre una coreografia per la quali non c’è niente per capire cosa era stato fatto? Ho dovuto ricrearla studiando per un anno la situazione: prima per la struttura dell’Arena; poi per il 1913, che è stato un anno cruciale per la danza del ventesimo secolo, perché ci sono stati i balletti russi di Djagilev, c’è stata Isadora Duncan, venuta dall’America, che ha portato un nuovo linguaggio, e tante altre cose. Partendo da quel che sapevo storicamente ho preso come come risorsa queste cognizioni, più la cognizione del cosa sia creare una coreografia all’Arena, e ho creato quella coreografia dell’Aida che – fra tutte quelle che si sono da allora succedute in Arena – devo dire che è quella che ha avuto il maggior successo».
La maestra Egri ci chiarisce poi il “mistero” del suo cognome: «Negli anni in cui l’Europa era dominata dal nazismo fummo costretti a tornare in Ungheria, nostro paese di origine. Una volta lì, a mio padre un cognome prussiano come Erbstein non stava bene. Chiese – all’epoca si faceva dopo il distacco dall’impero austroungarico – la magiarizzazione del suo cognome, scegliendo Egri, che è ungherese ma sembra italiano e significa “della città di Eger”: la sua prospettiva era infatti di tornare in Italia. Ma qui era conosciuto come Erbstein, e fu giocoforza unire i due cognomi. Ma il nostro vero era ed è rimasto Egri».– Si dice che lei, durante il periodo di permanenza in Ungheria, abbia salvato il suo papà fingendosi crocerossina …
«No, non finsi: ero una crocerossina – risponde l’étoile che in quella circostanza dimostrò un coraggio non comune – avevo frequentato a 17 anni un corso perché in quel periodo terribile volevo rendermi utile. Stretti d’assedio a Budapest, mio padre era fuggito dal campo di lavori forzati dove era stato imprigionato. Era nascosto nella casa dove eravamo, e ad un certo punto venni a sapere che avrebbero fatto una perquisizione in quella casa. Sarebbe stato terribile scoprirlo in cantina. Decisi che doveva andarsene. Fuori era un campo di battaglia e c’era il coprifuoco e solo chi come me indossava le insegne della Croce Rossa poteva circolare. Mio padre si finse ferito ed io attraversai quella città in rovina per consegnarlo a Raoul Wallemberg (ndr: diplomatico svedese che salvò migliaia di ebrei ungheresi)».
– Cos’è per lei oggi la danza?
«È l’unica attività dove fisico, mente e spirito sono perfettamente collegati e coesistono. Non c’è nessun’altra attività al mondo in cui la completezza dell’essere umano sia presente in ogni gesto che si fa. Per cui – conclude scherzosamente con un sorriso – penso che tutti coloro che non danzano siano un po’ disabili».