Siamo nel II secolo d.C. quando si costruiva, in epoca imperiale, uno dei monumenti più belli e significativi della città. E nonostante la lava ed il terremoto lo abbiano sepolto, grazie all’ITlab Ibam CNR è ritornato a vivere
di Maria Barbagallo
Eravamo probabilmente nel II secolo dopo Cristo quando, in quella che oggi è piazza Stesicoro, cuore pulsante della città di Catania, veniva edificato un anfiteatro, che per il tipo di architettura si ipotizza che possa essere stato costruito nell’epoca compresa tra l’imperatore Adriano e Antonino Pio.
Il vulcano Etna ebbe un ruolo importantissimo nella sua realizzazione, dato che venne adoperata solida pietra lavica e sicuramente la struttura era abbellita da marmi e colonnati.
Secondo quanto riferisce Cassiodoro, già al tempo di Teodorico (494-526 d.C.) re degli Ostrogoti, il monumento versava in uno stato di abbandono e il Senato di Catania chiese al sovrano, che allora aveva il dominio sulla Sicilia, il permesso di prelevare dei blocchi dell’anfiteatro per rifare la cinta muraria e alcuni edifici cittadini. Il permesso venne accordato a patto che venissero prelevati solo i blocchi già caduti. Anche Ruggero II di Sicilia nell’XI secolo utilizzò la pietra lavica dell’anfiteatro per la costruzione della nuova cattedrale e per il rifacimento dell’antica cinta muraria. Nel XII secolo gli Angioini utilizzarono i suoi «vomitoria» (gli ingressi), per accedere in città durante «la guerra dei Vespri».
Disegni ed incisioni di antichi viaggiatori documentano che l’anfiteatro era ancora visibile prima dell’eruzione dell’Etna del 1669, che seppellì decine di centri abitati, giungendo fino al mare. Il terribile terremoto che colpì Catania nel 1693, lo seppellì definitivamente e si perse ogni sua traccia. Durante la ricostruzione di Catania, le rovine romane divennero le fondamenta per i palazzi barocchi che sorgevano e i suoi «fornici» vennero adibiti a pozzi neri.
L’anfiteatro rimase così solo un labile ricordo. Rivide la luce nella metà del XVIII secolo, quando il Principe Biscari aprì uno scavo archeologico, investendo nell’impresa grosse somme del suo denaro. Venne definito dallo stesso «il testimonio più grande dell’antica catanese grandezza». Nel 1904 ad opera dell’architetto Filadelfo Fichera iniziarono i lavori per riportarlo alla luce, e alla cerimonia di apertura del 1907 era presente il re Vittorio Emanuele III.Nel primo dopoguerra l’anfiteatro fu lasciato decadere e nel 1943, durante il bombardamento degli alleati, la struttura venne adoperata come rifugio.
I ruderi oggi visibili dell’anfiteatro, che fa parte del Parco archeologico di Catania, sono solo un decimo della struttura originaria, infatti Il monumento sotterraneo si estende quasi interamente al di sotto dei palazzi barocchi che costellano la piazza e le vie limitrofe.
L’anfiteatro era molto grande, composto da una circonferenza esterna di 309 metri, diametri esterni di 125×105 metri ed un’arena di forma ellittica con una circonferenza di 192 metri, 56 archi, 32 ordini di posti e un’altezza massima di 31 metri e contava circa 15 mila spettatori seduti e con l’aggiunta di impalcature in legno, per spettatori in piedi, il numero si raddoppiava.Si suppone che fosse munito anche di copertura. Qui si svolgevano combattimenti di gladiatori, di uomini e bestie feroci e secondo una tradizione incerta e priva di riscontri storici, sembra che si effettuassero anche le naumachie (battaglie navali). Alcuni archeologi hanno ipotizzato che l’arena venisse riempita grazie all’acqua dell’imponente fiume Amenano, oggi sotterraneo, mediante l’antico acquedotto.
L’anfiteatro con il fascino e valore storico, è parte prestigiosa del passato della città di Catania e qualche anno fa l’ITlab Ibam CNR ha realizzato un modello tridimensionale della struttura restituendolo, così, agli occhi degli etnei.