Dolce tipico della cucina partenopea, ma che troviamo anche nella gastronomia dell’Italia centro-meridionale. E nonostante ciò che si crede, non è stato inventato a Napoli. Andiamo a scoprire la sua origine
di Maria Barbagallo
Natale con le sue luci, gli alberi addobbati, il presepe, la messa di mezzanotte … E certo non può mancare la tavola imbandita con tante prelibatezze da gustare insieme a parenti ed amici. Ed anche se si è pieni, un posto per i dolci lo ricaviamo sempre, ed in Campania non possono di certo mancare loro: gli struffoli. Dolce semplice formato da tante piccole palline di pasta fritta, irrorate di miele e guarnite di frutta candita.
La paternità degli struffoli sembra appartenere all’antica Grecia, poiché i suoi abitanti preparavano un impasto fatto di farina ed acqua, tagliato a pezzetti, fritto nell’olio bollente e cosparso di miele fuso. Infatti nella cucina ellenica troviamo i loukoumades (ghiottonerie) che presentano una preparazione simile, ed anche il nome deriverebbe dal greco strongoulos o stroggulos (arrotondato, di forma tondeggiante) e pristòs (tagliato), da cui pallina arrotondata e tagliata.Anche se la versione greca sembra quella più accreditata, alcuni sostengono che il nome derivi da strofinare, cioè dal gesto che si fa quando si lavora la pasta prima di tagliarla ed altri invece collegano il nome allo strutto, grasso con cui un tempo venivano preparati e poi fritti.
Ma troviamo anche un’altra ipotesi sulla nascita degli struffoli ed è quella spagnola. In Andalusia vi è un dolce, anch’esso molto simile agli struffoli, che si differenzia nella forma delle palline un po’ più allungate ed il suo nome è piñonate. La parentela tra i due dolci potrebbe risalire al periodo della dominazione spagnola a Napoli.
Gli struffoli vengono menzionati in alcuni libri di cucina. Ne parla Apicio gastronomo dell’antica Roma nel suo De re coquinaria, dove vi è una ricetta che parla di una sfoglia di pasta tagliata a listarelle, fritte e condite con miele. Nel ricettario del Crisci (1634) troviamo questo dolce ma non nel pranzo di Natale. Mentre nel trattato di cucina di Antonio Latini si trova la ricetta napoletana con il nome di «strufoli o struffoli alla romana».La diffusione come dolce tipico natalizio avvenne tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo, quando le suore dei monasteri napoletani preparavano questo dolce per recarlo in dono alle famiglie nobili che si erano distinte per atti di carità verso le persone meno fortunate.
Gli struffoli li troviamo, oltre che sulle tavole in festa dei campani, anche nell’Italia centro-meridionale, magari con forme o nomi diversi, ma quasi identici nella sostanza.
La variante più popolare degli struffoli è la cicerchiata in Umbria ed Abruzzo; in Basilicata e Calabria si chiama cicerata; a Roma sono gli strufoli; in Sicilia troviamo, con qualche piccola variante, la pignoccata e la pignolata; mentre nel viterbese prende il nome di castagnola e si mangia a Carnevale. Li si trova anche in Puglia e in Sardegna.
Tutti gli ingredienti di questo dolce sono importanti e nessuno marginale. Si parte dal miele che deve essere abbondante, per passare alle decorazioni fatte con arancia, cedro e zucca candita, la famosa «cucuzzata» o zuccata, per poi finire con i «diavolilli».
Ma qualunque sia la sua origine, Napoli è stata la città che ha diffuso la tradizione e la ricetta degli struffoli e non vi è casa dove non si preparino nel periodo natalizio. Anche se gli ingredienti sono gli stessi è possibile mangiare tanti struffoli diversi, poiché ogni cuoca possiede la sua ricetta, tramandata da madre in figlia e gelosamente custodita, ed è pronta a giurare che i suoi struffoli sono quelli antichi della tradizione.