L’estrazione dei dati informatici contenuti in un computer è un’operazione meccanica e la relativa copia cartacea può essere acquisita dal giudice e liberamente valutata in giudizio
di Danila Sarno
Fidarsi è bene, “screenshottare” è meglio. Soprattutto se lo screenshot può valere come prova in un processo. È quanto si evince da una sentenza della Corte di Cassazione, la numero 8736 del 2018, dove si afferma che la copia cartacea di uno screenshot è una prova valida, anche se priva di attestazione ufficiale.
Come noto, lo screenshot è un processo di salvataggio sotto forma di immagini di ciò che viene visualizzato sullo schermo di un computer o di altro dispositivo.
Come precisato dalla Suprema Corte nella sentenza citata, relativa ad alcuni articoli a contenuto diffamatorio pubblicati su un quotidiano on-line, “i dati di carattere informatico contenuti nel computer, in quanto rappresentativi di cose, rientrano tra le prove documentali, e l’estrazione dei dati è un’operazione meramente meccanica, che non modifica il loro contenuto, sicché non deve essere assistita da particolari garanzie”. Di conseguenza, il giudice ha la possibilità di acquisire il documento anche se non certificato, potendone poi liberamente valutare l’attendibilità. La decisione degli Ermellini rappresenta una presa di coscienza dell’importanza che la tecnologia e i social network hanno assunto nella vita quotidiana. La sentenza però desta molte perplessità, soprattutto se si considera che l’attendibilità di una prova come lo screenshot può essere facilmente messa in dubbio dalla possibilità di manipolazione. Proprio sulla base di queste considerazioni, in una precedente sentenza del 2017, la Cassazione aveva ritenuto di non poter acquisire agli atti del processo la trascrizione delle conversazioni effettuate attraverso WhatsApp, famosa app di messaggistica. In quel caso, per far sì che il giudice valutasse i messaggi, si era richiesto che le parti fornissero il supporto contenente gli stessi, al fine di consentirne la verifica dell’attendibilità e della paternità. È evidente che il problema non è di scarsa rilevanza e che ciò renda necessario un chiarimento definitivo in materia.