Il musicista nocerino, che suona un violoncello italiano del 1749, ascolta poco la musica leggera e si augura che lo studio delle sette note venga rivalutato e ampliato nelle scuole italiane 

di Miriam Pepe

Suona un violoncello anonimo italiano del 1749 Antonio Amato, 28enne violoncellista nocerino che si sta facendo strada nel suo settore con la padronanza del non facile strumento che è quasi un prolungamento della sua persona.

A Londra la sua ultima e molto applaudita esibizione. Diplomatosi col massimo dei voti al conservatorio Martucci di Salerno, Antonio Amato, che ha poi conseguito anche il diploma accademico di  secondo livello in Discipline musicali, è vincitore di diversi premi nazionali e internazionali.
– È risaputo che la musica è in grado di trasmettere emozioni diverse in base alla soggettività di chi l’ascolta. Nel tuo caso, come le descriveresti?
«Sembra una frase banale ma la musica è semplicemente tutta la mia vita – risponde Antonio –  Racchiude tutti gli aspetti dell’esistenza umana: la felicità, la tristezza, il momento eroico, ogni valore sentimentale! Un musicista è in grado di riconoscere più tipi di musica e sa interpretarne il linguaggio. Per me la musica è gratificante. Nel mio caso specifico,  mi sento bene facendo soprattutto musica da camera, pochi elementi che insieme cercano di dare vita alle opere dei grandi geni della musica».
– Nonostante la tua giovane età, tanti sono i concerti di cui sei stato protagonista. Ne ricordi uno in particolare che ti ha emozionato più degli altri?
«Ogni concerto porta con se un’emozione propria che coinvolge il musicista e il pubblico. Se dovessi scegliere, ne citerei due: il primo è quello che ho fatto a Napoli, all’Accademia delle Belle Arti. Per un musicista è importante poter trasmettere quello che prova nel momento in cui suona e spesso questo richiede concentrazione e una giusta atmosfera. A Napoli suonavo Bach al centro dello scalone monumentale dell’accademia e ricordo, sullo sfondo dietro di me, un gioco particolare di luci. L’atmosfera era davvero suggestiva e il pubblico era visibilmente coinvolto. Il secondo invece, è il concerto fatto a Bucarest. Non so dire quale sia stata l’emozione provata dal pubblico, so solo che quella volta è stata la prima ed unica, per ora, in cui mi sono sentito davvero soddisfatto della mia performance, ero solista».
– Che genere di musica ascolta Antonio Amato fuori dal contesto di appartenenza?
«In verità anche fuori dal mio contesto abituale sono solito ascoltare musica classica. Difficilmente ascolto musica leggera e se lo faccio, mai più di dieci, quindici minuti. Non me ne voglia nessuno, capisco che attualmente si sia maggiormente predisposti all’ascolto di musica leggera: è chiara, semplice, per tutti, e già per questo mi incuriosisce poco. Onestamente l’augurio che faccio all’Italia è che venga rivalutata la musica nelle scuole, che se ne studi la storia. La musica è arte, merita rispetto. Un’opera musicale dona immortalità tanto quanto un’opera letteraria, forse anche di più, perché ha il fenomeno del suono, che è scritto in partitura. Tutto questo non si tocca né si vede, c’è bisogno dell’interpretazione. Si crea quindi una magia unica che avviene solo se esistono musicisti e pubblico».

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