Il caso del monumento ai caduti, icòna di una generazione che ignora la propria storia e vive nella totale indifferenza rispetto a quanto avviene attorno a lei
di Anna Maria Napoletano
Hanno ancora un senso i monumenti ai caduti della Grande Guerra? A San Valentino Torio, così come in molte altre città dell’Agro, torreggia ormai stancamente, in piazza Amendola, uno dei tanti monumenti ai caduti della Prima guerra mondiale.
“Per la grandezza d’Italia pugnando da eroi caddero” recita la lapide marmorea sormontata da una raffigurazione bronzea dell’allegoria della Patria e da un obelisco. Questi monumenti si diffusero sul tutto il territorio italiano, negli anni venti, per ricordare ai contemporanei le persone care perite nel conflitto (all’epoca i monumenti furono realizzati anche mediante molte donazioni spontanee di cittadini), ma anche per mantenere sempre vivo il mito della “Grande Guerra”, inteso come emblema di grandezza nazionale, simbolo d’identità di Patria e di eroismo collettivo.
L’erezione di queste opere, molto spesso sullo stesso campo di battaglia, ancor prima della fine della guerra, ha determinato una sorta di drammatica geografia della memoria. Essi vanno considerati come espressione di un desiderio popolare, non di iniziativa delle amministrazioni, ma di comitati popolari, di privati cittadini sorti esattamente per lo scopo. Dopo appena un secolo (1918-2018) viene, però, da chiedersi se serva davvero ancora un monumento artisticamente brutto, come la maggior parte delle testimonianze del genere, a ricordare il sacrificio di tanti giovani che furono appena i nostri bisnonni? Una rapida indagine, in piazza Amendola, tra gli abitanti sotto la trentina, ha evidenziato che la maggior parte non sa neppure cosa rappresenta il monumento e, in realtà, non vi hanno mai neppure badato. Qualcuno ci ha detto trattarsi di un monumento ai caduti della guerra, non mostrandosi, però, affatto convinto di quale guerra si trattasse, a partire dalle guerre Puniche in avanti.
Nessuno dell’attuale generazione di giovani ricorda con esattezza quando avvenne il primo conflitto mondiale, o le ragioni che lo determinarono. Quel monumento ai loro occhi non assume significato alcuno, non accende nessuna fiamma nei loro cuori. Parole come Caporetto o il Piave li lasciano del tutto indifferenti. Davvero una grande confusione, una sintesi approssimata e priva di criterio: prima e seconda guerra mondiale, caduti della Grande Guerra e Partigiani. Ma si! Alla fine nel calderone di questa cultura di massa “globalizzata” e “wikipedizzata” che differenza fa? Siamo un paese senza antenati, né posteri; senza memoria. Sarebbe, allora, forse il caso di sostituire il monumento ai caduti con una stele recante a chiare lettere uno dei celebri aforismi di Indro Montanelli “Un Paese che ignora il proprio Ieri, di cui non sa assolutamente nulla e non si cura di sapere nulla, non può avere un Domani”. Potrebbe sortire un effetto di rinnovamento sulla indolente coscienza sociale.