All’inizio del secolo scorso le nostre zone erano piene di persone che rifornivano “porta a porta” i cittadini di prodotti tipici della nostra tradizione. Ma anche di servizi
di Anna De Rosa
Non c’erano i supermercati a Nocera Inferiore negli anni che vanno dal 1910 al 1940, e anche nell’immediato dopoguerra. Per comprendere appieno la vita della Nocera fatta di cortili e stradine bisogna conoscere i protagonisti della quotidianità delle massaie nocerine: i venditori ambulanti, che con una sorta di porta a porta giravano le strade portando tanti prodotti e servizi praticamente a domicilio.
Chi non ricorda il franfelliccaro? Chi faceva questo lavoro trasportava un carrettino carico di leccornie dolciarie, ricoperto da un telo. Passava di casale in casale, di cortile in cortile annunciandosi a gran voce: «È arrivato ‘o franfellicaro, dateme ‘e solde, franfellicche, dateme ‘e pezze, franfellicche!». Intorno a lui si riunivano grandi e piccini con “pezze” da barattare e qualche spicciolo. Il termine franfellicche deriverebbe dal francese Franfeluche ovvero bolla d’aria. Ma cos’era ‘o franfellicche? Una sorta di caramella fatta soprattutto di melassa, che veniva scaldata in un pentolone e quando raggiungeva una buona consistenza, veniva versata su un marmo cosparso di un sottile strato d’olio, per non farla attaccare. Questo impasto veniva lavorato fino a produrre un rotolo sottile che solidificava.
C’era poi il peracottaro, che vendeva le pere cotte. Tipico venditore invernale, portava con se questo prodotto considerato un toccasana per riscaldare mani e stomaco, soprattutto se addolcito con zucchero e aromi. A percorrere le strade cittadine erano di solito donne, che volevano aumentare le entrate familiari. Queste in estate, quando “il tempo delle pere” era terminato, si “chiudevano” nelle fabbriche di pomodoro.
C’era poi ‘a castagnara: una donna bassina che dai primi giorni d’autunno e successivamente per tutto l’inverno, preparava in un grande calderone di castagne con e senza buccia, cotte a legna. Di prima mattina le castagne venivano vendute ad operai e artigiani. In base alla disponibilità della tasca i clienti potevano scegliere il “cuppetiello” «per chi doveva misurare la lira» o il “cuoppone”. Indimenticabile ‘o mmolafrobbece, ovvero l’arrotino: con la sua abilità restituiva una linea affilata a forbici e coltelli. In bici, o più raramente con un carrettino, prolungava la giovinezza degli attrezzi che gli affidavano la cui qualità era certamente superiore a quella delle forbici e coltelli di oggi, che sono quasi usa e getta.
Infine come non ricordare Pascariello re’ ceveze? Questo personaggio appariva solo in estate. Era un contadino robusto che, partendo dalla piazza per poi spostarsi nei vicoli, con la sua bicicletta trasportava more e frutti di gelso. Con il suo grido: «cca’ sta Pascariello co’ ‘e ceveze. ‘E vulite o me ne vaco?» in poco più di due ore svuotava i “panarielli” e ritornava verso casa, a Nocera Superiore.