Finalmente qualcuno gliel’ha assestato un bel sano ceffone ad un giornalista rompipalle.

 

Perché dove sta scritto che un politico in particolare, o un qualsiasi altro libero cittadino che incappi appena in una vicenda un tantino intrigante, debba diventare tal quale i pupazzi che al luna park stanno immobili a prendersi le palle sul faccione sempre sorridente, subendo la violenza morale di un qualsiasi cretino sol perché tiene un tesserino in tasca e un microfono in mano, non l’ho letto mai in nessun codice nè di diritto né di sociologia democratica né di morale né di buon vivere.
Chiamare poi “violenza”  uno schiaffo rigeneratore, neanche troppo cattivo, e quindi sanamente pedagogico è un’usanza bacchettona fondata sulla balorda concezione della stampa  come entità sacrale e onnipotente che può giudicare e maltrattare tutto e tutti e lei guai a chi la tocca. Un’idea stomachevolmente pacifista che specie oggi nell’epoca del terrorismo, dei kamikaze, di guerre, dell’atomica, della mafia e delle stragi a mano armata, nella quale i giornalisti dovrebbero essere psicologicamente attrezzati a ben altri pericoli, fa semplicemente ridere.
Fra l’altro dal punto di vista strettamente giuridico Landolfi ha pienamente ragione, come ben sa il suo avvocato, il mio amico Michele Sarno, e non corre alcun rischio penale ad onta della querela del giornalista. Il quale forse ignora alcuni rudimenti del codice penale.
In primo luogo Landolfi gli aveva detto più volte che non desiderava parlare in strada e non in quel momento e gli aveva anche assicurato di volerlo ricevere in sede separata e tranquilla per corrispondere alle sue domande e al suo lavoro e gli aveva dato anche un preciso appuntamento sicchè correttezza e buona educazione avrebbero richiesto che desistesse dal dare fastidio ma egli ritenne, in quanto giornalista, di essere solutus dalle comuni norme di bon ton e di rispetto per l’altrui libertà di autodeterminazione, in nome del supremo esercizio della libertà d’informazione, ignorando che i due valori hanno perlomeno pari protezione e dignità costituzionale. E continuava imperterrito a rifare le stesse insistenti e idiote domande. Con ciò, commettendo, lui per primo, un reato, quello di cui all’art.660 CP, Molestia o disturbo alle persone per petulanza.landolfi lupo1
Ne deriva che lo schiaffo, che pure è previsto come reato, è reso impunibile dall’art. 52 CP che prevede la Legittima difesa e chi non lo conosce perché ne ha sentito parlare solo dai giornali se lo vada a leggere, inoltre dal nuovissimo art. 172ter CP che ha reso non punibili i reati perseguibili a querela, quando l’imputato faccia offerta reale di una somma congruamente risarcitoria, unitamente, in questo caso, alle scuse già pubblicamente fatte. Talchè tutto si risolverà in un pugno di euro.
Per cui non solo un inutile boomerang ma anche meschina e vile è la querela, visto che ai tempi in cui vigeva ancora il senso dell’onore cose del genere si risolvevano o con un duello o con una goliardica e abbondante bevuta e che pertanto il giornalista, prima di proporla, avrebbe fatto bene a riflettere e a chiedersi se, nella stessa circostanza, avrebbero proposto querela un Montanelli, Scarfoglio, Albertini, Barzini, Biagi, Marinetti, Malaparte o non avrebbero invece subissato l’incauto schiaffeggiatore con un profluvio di articoli, coprendolo, dall’alto della loro superiorità intellettuale e culturale, di una pesante coltre di dileggio, di ignominia, di vergogna additandolo alla pubblica e irreversibile deprecazione.

Aldo Di Vito
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Di Gigi Di Mauro

Giornalista con esperienza quasi quarantennale, è educatore e pedagogista clinico. Da oltre un ventennio si dedica allo studio della storia comparata delle religioni, ottenendo nel 2014 dal Senato accademico dell'MLDC Institute di Miami una laurea Honoris Causa in studi biblici. È autore di alcuni saggi, tra i quali uno sulle bugie di storia e religione

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