Rivivono, grazie alla collaborazione di un nostro lettore, il signor Bruno Franco, le prime esperienze dei ricoverati del manicomio nocerino sulle spiagge della costiera amalfitana e cilentana
di Anna De Rosa
Era il giugno del 1978 e la notizia fece decisamente scalpore: se ne occupò la rivista Oggi attraverso il giornalista Luigi Bernardi, che andò a visitare le strutture dell’ospedale psichiatrico nocerino e ad intervistare i direttori per carpire a fondo le problematiche derivate dalla legge 180, che prevedeva la chiusura di questi istituti.
Il professor Ernesto Failla, padre del giornalista Rai Fabrizio, all’epoca direttore di una delle quattro strutture ospedaliere, evidenziò che per i loro “ospiti” o “degenti” (non li chiamava mai “matti”) avevano organizzato turni di ferie al mare e in collina per più di 150 di loro: questi dimostravano di poter vivere tra la gente normale.
Le mete furono Maiori, San Marco di Castellabate, Pollica e Acerno. E ricordò le molte attività che l’ospedale creava per i loro assistiti: visite al Papa, partite di calcio, visioni di film o spettacoli al cinema e al teatro e feste da ballo. Il professor Failla rivelò le sue remore sulle «notizie negative che fanno pubblicità», e sulle varie «inchieste giudiziarie e campagne di stampa hanno abituato i lettori a sentire cose orripilanti sui manicomi e invece…».
Il giornalista, accompagnato dal dottor Franco Perazzi, direttore della quarta unità dell’ospedale psichiatrico, visitò i «matti» in vacanza a San Marco di Castellabate. Alla domanda di Bernardi sulle emozioni che queste persone “in libertà” suscitavano sulla gente comune, il medico sostenne «i ricoverati responsabili di fatti violenti saranno si e no l’uno per cento del totale, la pericolosità di tanti ospiti di ospedali psichiatrici non è superiore a quella delle persone normali; anche queste ultime, in particolari momenti di eccitazione, possono avere reazioni inconsulte».
Era da poco stata varata la legge del 13 maggio 1978, che aveva abolito i manicomi. Vi era una forte preoccupazione per le persone ricoverate. La domanda frequente era: «dove finiranno se le loro stesse famiglie non li vogliono?». I pazienti, che arrivavano dalle zone più povere di Isernia, Campobasso, Salerno e Cosenza in che condizioni avrebbero passato il resto delle loro vite?
Entro il 16 agosto i primari degli ospedali psichiatrici avrebbero dovuto comunicare ai sindaci dei paesi d’origine dei ricoverati il loro numero. Sarebbe stato necessario realizzare, per quanti non avevano più una famiglia o da questa fossero stati rifiutati, centri sociali, case-albergo, gerontocomi. «Sempre microstrutture però – precisò il professor Failla -, per evitare che i manicomi risorgano sotto altro aspetto». Sappiamo tutti com’è poi finita …