Nata a Bucarest da madre rumena e padre ungherese, prima di essere arrestata uccise più di trenta persone, compreso il figlio Lorenzo che la scoprì e voleva denunciarla
di Anna Vittoria Fattore
Chi nell’immaginario comune non è mai stato attratto dalla figura della fémme fatale, detta anche “Vedova Nera“?
Bella e letale, spietata ma dannatamente seducente. Vera Renczi nasce a Bucarest nel 1903 da madre rumena e padre ungherese. La sua famiglia è molto ricca e per lavoro, quando Vera ha solo tredici anni, si trasferisce a Berkerekul, una piccola città a nord-est della ex Jugoslavia.
A soli quindici anni la ragazzina comincia a sviluppare un desiderio costante di rapporti sessuali, ciò la porterà ad avere relazioni anche con uomini molto più grandi di lei, diventando ingestibile e sconsiderata agli occhi dei suoi genitori. Dopo i vent’anni decide di sposarsi con un ricco uomo d’affari con cui si trasferisce in una grande villa che in seguito sarà la culla dei suoi omicidi. Il tempo passa e Vera comincia ad insospettirsi sempre di più, il figlio Lorenzo è piccolo e suo marito è assente per lavoro, troppo assente per i suoi gusti.
Una sera, dopo averlo accusato di tradimento, lo uccide versandogli dell’arsenico nel vino; ai vicini racconterà d’esser stata abbandonata e porterà il lutto per un intero anno. Lorenzo cresce, diventa un figlio invadente ed irrequieto e così Vera decide di risposarsi con un uomo più vicino alla sua età per non crescere da sola quel ragazzino ribelle. Il matrimonio dura poco, la donna è gelosa ed inflessibile, avvelena il marito con l’arsenico e ne nasconde il cadavere in cantina: quello è solo l’inizio d’una collezione di bare in zinco dove giaceranno tutti i suoi successivi amanti.
Vera denuncia la scomparsa del marito e comincia ad avere una sfilza di relazioni anche con uomini sposati che scompaiono però misteriosamente. Anche suo figlio Lorenzo, dopo aver minacciato la madre di denunciarla, finisce avvelenato ed in cantina. La donna però fa un passo falso, uccide un uomo con una moglie sospettosa che, infine, la denuncerà alle autorità accusandola d’omicidio. Verranno trovate più di trenta bare in zinco dove Vera sorseggiava vino tra i cadaveri silenziosi dei suoi amanti; la donna viene condannata all’ergastolo morendo nel 1960. La vicenda ha ispirato la piéce teatrale “Arsenico e vecchi merletti” di Joseph Kesselring da cui è stato tratto l’omonimo film diretto da Frank Capra nel 1944. Una storia clamorosa e surreale, a tratti inquietante dove la realtà supera di gran lunga la fantasia.