Una grande quantità di cunicoli collegava le zone di estrazione del tufo grigio. Giulio Caso studia da anni le gallerie del sottosuolo, di cui sembra scomparsa ogni traccia
di Nello Vicidomini
Un controllo sulla sicurezza sotterranea in città e un’occasione di attirare un ulteriore tipo di turismo. Questa l’idea di Giulio Caso sulle tufare nocerine.
Il tufo è stato fin dalla preistoria il materiale da costruzione più utilizzato in Campania a causa della sua elevata presenza nella regione.
La sua cospicua diffusione fu originata dagli eventi vulcanici dei Campi Flegrei. Il tufo grigio campano (quello nocerino) è caratterizzato dalla presenza di pomici e scorie nere che ricaddero sull’Agro, prosciugando quella che era una estesa palude e costituendo, così, zone di scavi e di prelievo già dall’età antica. È noto che i greci furono abili scalpellini, così come i romani. Anche nell’antica Pompei molti edifici erano in tufo nocerino. A testimoniare il gran lavoro estrattivo che doveva esserci in città, lo scrittore greco Senofonte Efesio in un suo romanzo fa giungere il protagonista a lavorare nelle cave di pietra di Nuceria.
Nella tufara di Fiano (ancora oggi visibile) gli scavi avvenivano a cielo aperto sul fianco della collina. Nella zona che va dal rione Pietraccetta fino a Codola, invece, il tufo veniva estratto dal sottosuolo, attraverso pozzi collegati da gallerie e cunicoli. In tutta l’area si venne a formare una serie di condotti sotterranei di cui nessuno più, oggi, è a conoscenza della precisa ubicazione. Finita l’estrazione, i locali sotterranei vennero utilizzati come deposito per le carni o per coltivare funghi. Durante la seconda guerra mondiale i nocerini si servirono delle tufare come rifugio dai bombardamenti, come narra anche Domenico Rea ne “I Racconti”. Dopo l’eruzione del Vesuvio del 1944, nelle cavità vennero depositati i lapilli e le ceneri ricaduti sulla città. Furono così occlusi i pozzi e la maggior parte degli ingressi alle gallerie e le tufare caddero nel dimenticatoio. Uno dei principali ingressi si trovava dietro l’attuale oratorio San Domenico Savio. Degli altri molti sono oggi irraggiungibili e altri ancora sono parte integrante di successive costruzioni. Un esperto del sottosuolo nocerino, il geologo Giulio Caso, ha però negli anni effettuato indagini stratigrafiche e ricerche al fine di individuare posizione ed estensione delle gallerie: «Ho riscontrato la presenza di tufo grigio al centro dell’abitato di Nocera alla profondità di 16-17 metri, mentre nei pressi di viale San Francesco a -21 metri. Nel corso di indagini, da me effettuate nel 1989, in località Piedimonte, non trovai cavità. Ma molti abitanti del posto mi raccontarono di essersi inoltrati, durante la guerra, in cunicoli posti in zona».
Inoltre, come spiega Caso, in questo stato rappresentano un rischio per la sicurezza e una causa di potenziali crolli: «Il degrado di queste cavità prosegue nel tempo. È, forse, giunto il tempo di riscoprire questa parte importante della nostra storia. Anche perché, già su qualche fabbricato si cominciano a formare delle lesioni sospette. È giusto, allora, iniziare ad effettuare il rilievo di tutte le cavità sotterranee». D’altra parte, Caso illustra anche in che modo la loro riscoperta potrebbe rivelarsi una svolta per il turismo locale: «Un progetto che preveda di riaprire la parte più sicura delle tufare e utilizzarle per ricerche di eventuali reperti storici o come attrattiva turistica, darebbe lavoro a numerosi giovani che potrebbero realizzarsi come guide della Nocera Sotterranea». Attualmente l’unica tufara accessibile è quella di Fiano. Qui sono stati trovati numerosi cristalli nel tufo, fra i quali la Nocerite, scoperta nel 1981 dal geologo Arcangelo Scacchi e sono state spesso organizzate escursioni con la visita da parte di studenti anche di università straniere.