La festa andava ben oltre la sola maschera: la tradizione era costituita da rappresentazioni folkloristiche, musica etnica, abiti invertiti tra uomini e donne, e tanta buona tavola
di Anna De Rosa
Sono in molti ormai, oggi, a non ricordare come vivevano la festa del Carnevale i nostri concittadini. Ed è per questo che abbiamo pensato che ai più giovani (ma anche ai “grandi ma non troppo”), fare un tuffo nel passato, fino agli inizi del secolo scorso, potesse far piacere.
I nocerini, infatti, celebravano questa festività in modo del tutto diverso da oggi. L’abitudine a mascherarsi, in un certo qual modo, è recente. In passato l’unico travestimento consisteva in un capovolgimento dei ruoli: uomini e donne invertivano il loro abbigliamento e sfilavano per le strade evidenziando con i gesti i loro personaggi. Raramente si indossavano i costumi tradizionali.
La baldoria generale in questo giorno rendeva legittimi comportamenti che, diciamolo, non erano propriamente civili, come, ad esempio, il lancio di uova marce, farina o altri alimenti; altre volte, invece, i ragazzi arrivavano anche a tagliare le trecce delle ragazze.
Una delle maschere tradizionali, tipiche della nostra città, era la vecchia di Carnevale. Si trattava di una maschera doppia, dal momento che una sola persona interpretava Pulcinella e Quaresima (una vecchia che lo portava sulle spalle). L’effetto si otteneva mettendo sull’abito di Pulcinella una gonna lunga, col grembiule, e sovrapponendoci, all’ altezza dello stomaco, il busto e la testa di paglia della vecchia, con due braccia false che sembravano sorreggere le gambe (anch’esse finte) di Pulcinella. In genere, quando sfilava per le strade, era accompagnata da altre maschere e suonatori di tammorra, putipù, tricaballacche, castagnette, scetavajasse. Al suono di questi strumenti la vecchia ballava. Pulcinella, suonando le nacchere, l’aiutava coi suoi movimenti e grazie a un bastone legato alla gamba, “spingeva” la vecchia a fare movimenti con testa, con il seno e con le braccia, dandole quasi una parvenza erotica. Intanto recitava frasi tipo di augurio o di beffa, e chiedeva e riceveva in offerta cibi rituali.
La tradizione nocerina era anche costituita da una rappresentazione teatrale comica, che veniva più che altro recitata (solo da uomini!) per le strade e i casali: la Zeza. La storia è quella dell’amore tra la figlia di Pulcinella, Tolla (o Vicenzella) con don Nicola, studente calabrese, le cui nozze sono fortemente contrastate dal padre di lei che teme di essere disonorato, mentre sua moglie Zeza, che è di ben altro avviso, vuole far divertire la figlia “co’ ‘mmilorde, signure o co’ l’abbate“. Pulcinella sorprende gli innamorati e reagisce violentemente, ma, punito e piegato da don Nicola, alla fine si rassegna.
Ogni martedì grasso, la sera si inscenava la morte di Carnevale. Si posizionava su di un carrettino addobbato con fronde di castagno, mazzi di verze e broccoli, salsicce e salumi, velari neri, un fantoccio su di un trono, per rappresentare Carnevale. Questo pupazzo aveva un corpo grosso, una gigantesca pancia e il viso tondo, nero di carbone, con in testa un cappello di Pulcinella o un cilindro, al collo aveva una collana di salsicce e in mano aveva un mazzo di rape. Lo accompagnava un corteo che cantava il lamento funebre: “Signò, v’aimme purtato ‘o ciacione ‘e carnevale. ‘E gioia, isso mo’ more… E carnevale serunte, serunte e mo’ ca è Pasca facimmo ‘e cunte, ca sinun e buò fa carnevale puozze schiattà.”
Dopo questo “rito” il pupazzo veniva incendiato in piazza tra i canti e le danze, cui partecipava Quaresima. Prima di arrivare a destinazione, il corteo si fermava davanti a botteghe e palazzi, e riceveva offerte di cibi. A volte i cortei erano due, quello di carnevale e quello della morte, che si incontravano a sera. La morte, con la sua faccia, uccideva Carnevale che poi era bruciato.
La tradizione che i nocerini celebravano e celebrano con più gioia è senza dubbio quella alimentare. Il grande pranzo di Carnevale, che molti conservano ancora oggi, prevedeva innanzitutto lasagna e in secondo luogo le polpette. Il dolce di rito era il sanguinaccio. Il pranzo si ripeteva il giovedì grasso.