Continuiamo il viaggio nella storia della psicologia, arrivando fino ai giorni nostri, passando per lo studio del comportamentismo e gli esperimenti sui riflessi condizionati di Pavlov
La psicologia ha una storia che si sviluppa quasi parallelamente al progredire dell’uomo. Dagli inizi, cosa è cambiato?
Per più di duemila anni la psicologia è stata intesa nel suo senso etimologico, ovvero “disciplina che ha per oggetto l’anima”. Psiche in greco vuol dire infatti anima e conseguentemente psicologia significa studio dell’anima.
Il comportamentismo o behaviorismo rappresenta il capovolgimento più radicale nell’assunzione dell’oggetto di studio della psicologia, che diventa il comportamento osservabile e non la coscienza. Uno dei motivi fondamentali del comportamentismo è l’aspirazione a dare una fondazione scientifica alla psicologia, in maniera da collocarla fra le scienze biologiche, nella grande famiglia delle scienze naturali.
Il comportamentismo nasce ufficialmente nel 1913 nel Nord America, anno in cui Watson pubblica un articolo La psicologia così come la vede il comportamentista: fortissima era l’influenza esercitata sul comportamentismo dalla sperimentazione sugli animali e dall’evoluzionismo darwiniano, il quale aveva chiarito che fra l’uomo e le altre specie animali non vi era una differenza radicale. Fra il 1913 e il 1930 si sviluppa il comportamentismo watsoniano: il comportamento è “adattamento dell’organismo all’ambiente”, “contrazioni muscolari”, “insieme integrato di movimenti”, “azioni”. L’unità d’osservazione psicologica è il comportamento nel senso di azione complessa manifestata dall’organismo nella sua interezza.
Il principio del condizionamento sostiene che nell’organismo esistono risposte incondizionate a determinate situazioni. Un organismo affamato che riceve del cibo sicuramente reagirà salivando, un improvviso fascio di luce sugli occhi provocherà sicuramente una contrazione della pupilla. Il cibo e il fascio di luce sono chiamati stimoli incondizionati cioè eventi che si producono nell’ambiente e che provocano incondizionatamente una determinata risposta nell’organismo.
Il condizionamento comincia ad occupare un posto centrale nella teoria comportamentista, Watson appare influenzato non solo da Pavlov, ma anche dai riflessologi russi come Bechterev che era in particolar modo interessato ai riflessi muscolari. Ad esempio, il cane di Pavlov salivava quando sentiva il suono di una campanella, per il semplice fatto che tale suono era stato precedentemente associato con una certa frequenza alla presentazione del cibo.
Skinner è interessato all’osservazione del comportamento e alla sua relazione con le contingenze di rinforzo, cioè delle occasioni in cui ad una determinata risposta ha fatto seguito una ricompensa. La sua idea è che questo tipo di analisi possa essere sufficiente a spiegare ogni forma di apprendimento, incluso quello linguistico.
Skinner studia il comportamento di ratti e piccioni immessi in una gabbietta. Fra le varie risposte che l’animale può dare ne è scelta una (ad esempio, la pressione di una leva) di maniera che ad essa faccia seguito uno stimolo rinforzante (ad esempio un granello di cibo). Si osserverà che la risposta seguita da rinforzo tenderà a presentarsi con sempre maggiore frequenza.
Questo paradigma è detto condizionamento operante e si differenzia da quello di Pavlov (condizionamento classico) per il fatto che la risposta precede piuttosto che seguire lo stimolo critico. Nel caso del ratto di Skinner l’organismo emette sempre più spesso quella risposta cui ha fatto seguito un rinforzo. Negli anni 50 vi era quindi una scuola psicologica che esercitava un assoluto predominio sulla psicologia: il comportamentismo. La psicologia clinica è tuttora saldamente in mano agli psicoanalisti anche se hanno preso piede le cosiddette “terapie comportamentali”, le psicoterapie, cioè derivate dai principi del comportamentismo, che tendono a mettere in forse la supremazia degli psicoanalisti in questo settore. Le terapie comportamentali sono le prime avvisaglie del massiccio uso di tecnologie. Attraverso le tecnologie educative, il comportamentismo, che ha sempre avuto come oggetto privilegiato di studio l’apprendimento.
Il cognitivismo è una diretta filiazione del comportamentismo. Solo dopo il 1967, anno di pubblicazione di Psicologia cognitivista di Neisser, si comincia a parlare di psicologia cognitivista e cognitivismo. La psicologia cognitivista può essere considerata sotto molti aspetti una psicologia mentalistica. In pratica per i behavioristi, le categorie mentali non essendo direttamente osservabili come quelle comportamentali, non potevano essere oggetto di ricerca scientifica, e chi se ne occupava si poneva automaticamente al di fuori dell’ambito della scienza. Si può dire che il mentalismo dei cognitivisti trova la sua forza nella crisi epistemologica che attraversa il comportamentismo (anni ’50), che non è più in grado di opporsi e di bollare come ascientifico tutto ciò che non è direttamente osservabile. L’interesse dei cognitivisti è sempre stato rivolto più all’individuazione di modelli che fossero però in grado di spiegare perfettamente un singolo comportamento in ogni minimo dettaglio e non all’enunciazione di grandi principi generali informatori del comportamento globale di ogni individuo.
Alla fine del secondo millennio lo scenario contemporaneo presenta, anche in Italia, una disciplina autonoma, con facoltà specifiche per l’insegnamento e con albi per le pratiche professionali. La psicologia ormai nulla ha a che fare istituzionalmente con la filosofia, al suo interno si è sviluppata una sorta di epistemologia naturale, troviamo cioè molte risposte di natura scientifica a quelli che sono stati da sempre i quesiti della filosofia della conoscenza. Come la psicoanalisi studia l’elaborazione delle determinanti interne, le pulsioni, così la psicologia cognitivista studia l’elaborazione delle determinanti esterne, le informazioni disponibili nella stimolazione sensoriale.
La scienza cognitiva è composta di cinque discipline:
– psicologia
– linguistica
– informatica (computer science)
– filosofia
– neuroscienze
Ovviamente ciascuna di queste discipline mantiene la sua identità e si sviluppa autonomamente. Ma per quanto concerne le conoscenze di ciascuna disciplina che vanno a formare la scienza cognitiva abbiamo un intreccio sempre più stretto.
Valentina Di Mauro
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