Il padre della disciplina viene considerato Wilhelm Maximilian Wundt, che nel 1879 fondò all’Università di Lipsia il primo laboratorio dedicato agli studi psicologici
Dopo queste due settimane di pausa, dovute a due lunedì festivi, ho scelto di bloccarmi un attimo con le risposte alle e-mail e spiegare un po’ di storia della psicologia, per capire come siamo arrivati alla scienza che conosciamo noi oggi. Per comprendere il presente, c’è necessità di conoscere il passato. È un dato incontrovertibile.
Allora, partiamo alla scoperta della materia: cos’è la psicologia?
È la scienza della mente e del comportamento. La mente si riferisce alla nostra personale esperienza interiore (percezioni, pensieri, ricordi e sentimenti), mentre il comportamento fa riferimento alle azioni osservabili degli esseri umani e degli animali non umani, alle cose che facciamo nel mondo da soli o con gli altri.
Gli psicologi cercano di spiegare i comportamenti studiando gli eventi che li causano. La Psicologia nasce come scienza intorno alla seconda metà dell’800 ed esattamente nel 1879 ad opera di Wundt (1832-1920), il quale è considerato per la storia della psicologia “il padre fondatore” della disciplina grazie al suo contributo teorico e sperimentale. Egli apre all’Università di Lipsia il primo laboratorio dedicato agli studi psicologici. Questo segna la nascita della Psicologia come scienza indipendente.
Bisogna dire che il desiderio di capire chi siamo non è nuovo. Pensatori greci come Platone e Aristotele furono i primi a confrontarsi con gli interrogativi su come funzioni la mente. Aristotele (384 a.C. – 322 a.C.) riteneva che la mente del bambino fosse una tabula rasa su cui venivano scritte le esperienze. Con lui parte l’idea che l’uomo può essere oggetto di studio scientifico: l’uomo è parte della natura e le sue conoscenze sono frutto dell’interazione con l’ambiente e può quindi essere studiato con i metodi della scienza. Sono tre i passi che portano alla fine del ‘700 alla fondazione di una scienza dell’uomo, ma non ancora alla psicologia come intesa in senso scientifico moderno, ovvero:
1) il Dualismo e la dottrina delle idee innate (razionalismo) di Cartesio
2) il passaggio dallo studio dell’essenza della mente ad un’indagine dei processi della mente
3) il passaggio da una concezione del corpo come macchina ad una concezione del corpo quale organismo animale in modo da poter ricostituire l’unità mente-corpo.
Altro ruolo fondamentale è quello dell’inserimento degli studi biologici e neurologici all’interno del filone psicologico. Parliamo della Neuropsicologia, che nacque in Russia durante la seconda guerra mondiale ad opera di Lurija. La nascita della neuropsicologia viene così descritta in un celebre libro “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello” di Oliver Sacks (1986), professore di Neurologia allo Albert Eistein College of Medicine di New York: “Lo studio scientifico della relazione fra cervello e mente ebbe inizio nel 1861, quando un francese, Broca, trovò che specifiche difficoltà nell’uso espressivo della parola (afasia) seguivano invariabilmente un danno ad una particolare porzione dell’emisfero cerebrale sinistro. Ciò aprì la strada a una neurologia cerebrale che nel corso dei decenni permise di tracciare una “mappa” del cervello umano, ascrivendo specifiche facoltà – linguistiche, intellettuali, percettive, ecc. – ad altrettanto specifici “centri” del cervello”.
Cosa fece Paul Broca? “Louis Victor Leborgne aveva iniziato ad avere problemi durante la sua giovinezza, quando aveva sofferto della prima crisi di epilessia. Ciò non gli aveva tuttavia impedito di vivere in maniera autonoma nel terzo distretto di Parigi, dove lavorava producendo forme per scarpe per i calzolai. A trent’anni però perse improvvisamente la parola. Non è noto se il danno è stato causato dall’ennesima crisi epilettica o dalla sifilide, cosa che non è stata mai annotata nei rapporti di Broca. La causa immediata del suo ricovero in ospedale era stato il suo problema di comunicazione.”
Leborgne fu ricoverato nell’ospedale di Bicêtre due o tre mesi dopo aver perso la capacità di parlare. Forse in un primo momento il disturbo era stato percepito come una perdita temporanea, ma il difetto si rivelò incurabile. Dato che Leborgne era celibe, non poté essere affidato a parenti stretti, e trascorse così il resto della sua vita (21 anni in totale) in ospedale”. Dopo la morte, Broca eseguì un attento esame anatomico del cervello di Leborgne, premurandosi anche di conservalo presso il Musée Dupuyt Ren di Parigi. Quanto all’unica, singolare sillaba che Leborgne riusciva ancora a pronunciare, Domanski avanza un’ipotesi, forse azzardata ma sicuramente suggestiva, e la lega ai suoi ricordi d’infanzia. Louis Victor era nato nella suggestiva cittadina di Moret-sur-Loing, prediletta da Monet, accanto a uno dei diversi mulini ad acqua che la abbellivano. Quei mulini servivano per la produzione di tannino per la concia, erano, come si dice in francese, moulin a tàn.
Verso la fine del secolo divenne evidente a osservatori più acuti – in primo luogo Freud, nel suo saggio sull’afasia – che la mappa così tracciata era troppo semplice, che tutte le attività mentali avevano un’intricata struttura interna, e quindi dovevano avere una base fisiologica altrettanto complessa. Aleksandr Romanovič Lurija dedicò tutta la vita allo sviluppo di questa fecondissima scienza, la quale però, se si pensa alla sua portata rivoluzionaria, fu piuttosto lenta ad arrivare in Occidente.
L’intera storia della neurologia e della neuropsicologa può essere vista come la storia delle indagini sull’emisfero sinistro. Una ragione importante di questa relativa indifferenza per l’emisfero destro o “minore”, come è sempre chiamato, è che mentre gli effetti di lesioni variamente localizzate nella parte sinistra sono facilmente dimostrabili, le corrispondenti sindromi dell’emisfero destro appaiono molto meno distinte. Tale emisfero era di solito considerato sprezzatamente più “primitivo” del sinistro, che era visto invece come l’esito ineguagliato dell’evoluzione umana … quando finalmente emersero alcune sindromi dell’emisfero destro, essere furono considerate bizzarre. Ed è proprio in “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello” (1986), che Oliver Sacks pubblicò storie di soggetti affetti da deficit neurologici, ed in particolar modo storie di “turbe neurologiche che colpiscono il sé”.
Queste turbe possono essere di vari tipi, possono derivare da un eccesso non meno che da un indebolimento di una funzione, e pare ragionevole considerare queste due categorie separatamente. Ma va detto fin dall’inizio che una malattia non è mai semplicemente una perdita o un eccesso, che c’è sempre una reazione, da parte dell’organismo o dell’individuo colpito, volta a ristabilire, a sostituire, a compensare e a conservare la propria identità, per strani che possano essere i mezzi usati.
(1 parte)
Valentina Di Mauro
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