Nel convento sono state educate molte nocerine e appartenenti nobili dell’Agro. Sicuro è che le Clarisse si stabilirono a Nocera dopo il 1283 per l’interessamento dei frati francescani
di Anna De Rosa
“Ai confini dei comuni di Nocera Inferiore e Pagani, all’ incrocio della strada nazionale che da Salerno va verso Napoli, sulla destra si ammira la mole del monastero di Santa Chiara, abitato da secoli dalle Clarisse”. (da Il Monastero di S. Chiara in Nocera dei Pagani di A. Pergamo)
Le informazioni riguardo l’ origine sono scarse e poco certe, sicuro è che le Clarisse si stabilirono a Nocera dopo il 1283 per l’interessamento dei frati del vicino convento francescano.
L’ Orlando riferisce che l’ antico monastero era ubicato sotto la collina di San Pantaleone e che in seguito ad un violento acquazzone sia rimasto distrutto. Si pensa che, in seguito a questo spiacevole evento, i frati offrirono generosamente alle monache «la chiesetta e i pochi locali della loro abitazione».
Il monastero nella sua struttura odierna risale ai primi anni del XIV secolo. Oggi l’edificio è composto da due corpi ben differenziati: un’ala costruita dalle religiose nel XVIII secolo, e una seconda struttura edilizia più antica, dove sono riportate tutte le caratteristiche di una costruzione medievale che purtroppo ha subito diversi rimaneggiamenti.
Il 4 dicembre del 1742 una tremenda tempesta si abbatté su tutto l’Agro, causando gravissimi danni alle persone e alle abitazioni. Orlando riferisce che anche il monastero fu duramente colpito: «il campanile e parte della facciata si abbatterono sul coro provocando danni alla tettoia e causando la morte di due religiose, e il ferimento di quattro. In questo periodo bisogna collocare la costruzione del muro di cinta del giardino, resosi necessario dal fatto che cominciarono a fervere i lavori di riparazione e sostegno dei vecchi locali danneggiati. Alla fine, la costruzione della nuova ala, a due piani era costituita da 18 stanze ampie ed esposte a mezzogiorno, con al piano terra depositi e cantine».
Successivamente la chiesa venne ampliata con l’aggiunta del presbiterio, in modo che la navata risultasse ingrandita, furono, inoltre, ricavate due cappelle nelle quali furono sistemate le statue di San Francesco e Santa Chiara.
Il monastero, «secondo le disposizioni della regola urbaniana», poteva possedere “in comune beni immobili”. Questi, col passare dei secoli, aumentarono perché le religiose, al tempo del loro noviziato, erano obbligate ad investire le doti in compra di terreni, boschi e selve eccetera, per assicurare con la rendita il necessario alla vita claustrale. La mancanza di documenti, però, non ha permesso di avere un quadro generale dei possedimenti del monastero dei primi secoli della sua esistenza.
Nel 1812 il re di Napoli, Gioacchino Murat, sottopose i monasteri di “religiose possidenti” sfuggiti alla soppressione, a una commissione amministrativa, «più per controllare, o meglio restringere, i loro possedimenti, che per assicurarne una buona amministrazione». Dopo la restaurazione, il re di Napoli Ferdinando IV nel 1815, decretò, invece, l’abolizione delle commissioni.
Le Clarisse di Santa Chiara vivevano in modo quasi eremitico-conventuale, perché trascorrevano in comune solo alcuni giorni della settimana. Verso il 1630 la comunità, formata da 55 membri tra coriste, converse e novizie, viveva «in vita comune nelli giorni di domenica, martedì et giovedì et sabato la matina; nelli altri giorni in vita particolare matina et sera, fuori di pane et vino dal monastero.» (da ASC, Platea)
«In data 7 luglio 1686, la Badessa suor Elena Erricchiello con altre ventiquattro religiose sottoscrissero un atto pubblico con il quale si obbligavano all’ osservanza della perfetta vita comune e ripudiavano il metodo individualistico fino a quel tempo praticato. Si prescriveva l’obbligo di intervenire alla mensa comune, dove bisognava osservare il religioso silenzio, ascoltare la lettura di libri devoti, recitare le preghiere prescritte prima e dopo il pranzo. La comunità si obbligava a somministrare il vitto “senza eccettione alcuna a spesa dell’ entrate d’ esso Monistero”. Tutte le rendite, compresa la somma che versavano le educande, dovevano andare alla cassa comune. I lavori e i servizi nel monastero dovevano essere equamente distribuiti con turno settimanale alle converse, le quali, espletati i lavori a loro assegnati, potevano impiegare il tempo libero nella preghiera o in lavori personali. La riforma dovette durare pochi anni.» (da La spiritualità francescana in S. Chiara di Nocera)
Le religiose del monastero nel tempo hanno accolto educande provenienti dalle nobili famiglie dell’agro nocerino o delle provincie di Salerno e di Napoli “per impartire loro una sana educazione civile e religiosa. Ciascuna di esse era affidata ad una monaca corista”.
Oggi le clarisse sono ancora molto attive, tutto ciò che fanno serve a raccogliere contributi per il monastero. Suor Giovanna ci dice: «Il nostro primo “lavoro” è la preghiera, dopo ci dedichiamo ad altre opere come il servizio delle ostie; prima c’era la produzione degli abiti per i frati, attività che oggi si è ridotta molto; come lavoretti, inoltre, creiamo rosari, quadretti e le marmellate fatte con i frutti del giardino».