Il marito che usa violenza sulla consorte per vietarle di svolgere un’attività da lui ritenuta inconciliabile con i rapporti familiari va condannato per maltrattamenti
di Danila Sarno
Commette reato di maltrattamenti il marito che vessa la moglie a causa del fatto che ella svolge un’attività lavorativa da lui considerata idonea a sottrarle del tempo alla cura dei propri obblighi familiari. Lo ha deciso la Corte di Cassazione, con sentenza numero 49997 del 2017, confermando la condanna di un uomo, emessa dalla Corte d’Appello di Venezia a causa delle minacce di morte, percosse e umiliazioni poste in essere dallo stesso nei confronti della consorte in carriera.
A detta dell’imputato, tirate di capelli, svilimenti, pugni e tanto altro erano giustificati dal fatto che la donna avesse praticamente scelto di vivere da single, dedicandosi al lavoro senza interessarsi dei bisogni dei familiari. Proponendo ricorso in Cassazione, infatti, l’uomo ha sostenuto che la condanna emessa nei suoi confronti era stata basata su un’errata concezione della famiglia tutelata dalla legge penale. Tuttavia, la Corte ha chiarito che la disciplina del reato di maltrattamenti, di cui all’articolo 572 del codice penale, non garantisce solo la salvaguardia della famiglia da comportamenti violenti, ma anche la difesa dell’incolumità fisica e psichica delle persone indicate nella norma. Si è precisato, inoltre, che nei reati abituali, come quello per maltrattamenti, per la sussistenza del dolo “è sufficiente la consapevolezza dell’autore del reato di persistere in un’attività delittuosa, già posta in essere in precedenza, idonea a ledere l’interesse tutelato dalla norma incriminatrice”. Anche l’affermazione del marito, secondo cui le dichiarazioni della parte offesa non possono essere, da sole, poste a base dell’accusa, è stata ritenuta infondata degli Ermellini, secondo i quali ciò sarebbe del tutto legittimo, ovviamente previa verifica della credibilità del dichiarante e dell’attendibilità del racconto, come avvenuto nel caso in questione. Per di più le altre dichiarazioni rese da terzi, scelti dalla difesa e che avevano descritto una coppia serena, sono state attentamente valutate dal giudice e ritenute irrilevanti, in quanto le violenze si sarebbero consumate tra le mura domestiche, in assenza di testimoni. In conclusione il maltrattamento di una donna non può assolutamente essere giustificato, anche qualora ella dimostri di preferire il lavoro alla famiglia.