Il convento fu voluto dal duca Alfonso Carrafa nel 1563, e contiene il suo sepolcro. L’eroismo e la carità dei frati durante la peste che colpì la città nel 1656
di Anna De Rosa
Uno dei punti di riferimento della città di Nocera e della sua comunità è, da secoli, la chiesa di Sant’Andrea. A volere che in questo luogo si stabilissero i cappuccini fu Alfonso Carrafa, duca di Nocera, nel 1563. Egli fornì da parte dell’Università un’offerta pecuniaria a questa cappella; donò, inoltre, anche il suolo, su cui vennero situati il convento e i giardini. I monaci dedicarono la nuova chiesa qui fondata a Sant’Andrea apostolo.
“Nelle stesse pertinenze del Regio Parco – scriveva padre Emanuele da Napoli, frate minore cappuccino, in “Il convento di Sant’Andrea nelle vicende storiche nocerine” – in poca distanza dalle antiche fabbriche in territorio alquanto selvoso e sterile, vi si edificò una cappella in onore dell’apostolo Andrea, che si diceva dell’ Università per averne cura i sindaci e gli amministratori della città”. Il duca benefattore fece restaurare l’antica cappella dedicata a Sant’Andrea e desiderò che rimanesse inclusa nella chiesa, come oggi si vede, tramandataci con nome di “cappellone”, «e quivi volle essere sepolto».
Precedentemente, a destra dell’ingresso, era collocato il sarcofago di Alfonso Carrafa, dedicatogli dalla vedova Giovanna Castriota nel 1581 ad un anno dalla sua morte. Questo sepolcro, vuoto delle spoglie, fu costruito dallo stesso duca come monumento spirituale e nel 1912 venne ricomposto e sistemato nell’ entrata della chiesa. I frati cappuccini ebbero sempre «un rapporto privilegiato fatto di amore e di attenzione nei confronti del popolo nocerino», cui hanno elargito con generosità una azione religiosa e sociale, ed essi hanno saputo ricambiare aiutandoli nei loro bisogni materiali.
Nel 1631, a seguito di diversi terremoti, tutta la struttura del convento e della chiesa si ridusse a ruderi, ma i nocerini riuscirono a reperire la somma di mille ducati sufficiente per la ricostruzione. I monaci ebbero anche il vanto di essere gli unici ad aver saper saputo porre fine all’astio che nel 1641 si creò tra Maria Domenico Carrafa e l’Università, derivato delle libere elezioni dei sindaci universali.
Solo l’ingerenza del padre del convento di Sant’Andrea seppe diminuire l’ira del duca «assetato di vendetta contro il popolo dopo il rimprovero ricevuto dal consiglio collaterale della corona a non “immischiarsi in verun modo nelle faccende dell’amministrazione civica, e di lasciare che i cittadini si governassero da sé; che non facesse carcerare nocerini senza il consenso dei sindaci e carceratili non poteva tenere altrove che nelle carceri della città”».
Quando si presentò la peste nel 1656, i frati lasciarono la protezione del convento per entrare nelle case di coloro toccati dal morbo, furono «gli unici capaci di offrire loro un gesto e una parola di conforto non solo religioso ma anche umano».
Nel 1860 il convento fu soppresso a causa delle leggi eversive, e se anche i frati non lo abbandonarono, questo divenne una casa di ricovero per anziani. Questo fino al 1897 quando Angelo Gambardella riscattò il convento e permise che ritornasse ad essere luogo di culto. La struttura riprese ad essere casa di formazione e di studio per i chierici.Successivamente il complesso, causa cambiamento storico e sociale, perderà “monasticamente” la sua importanza di un tempo, senza però mai oscurare nella memoria dei nocerini l’amore per «l’antica casa di preghiera».