Un incontro per dialogare e comprendere un regolamento che sta facendo scalpore negli ultimi mesi: il fine vita. Tra i relatori il vescovo diocesano Giuseppe Giudice
di Anna Rosa
Si è tenuto giovedì all’ISIS Fortunato di Angri un convegno sul biotestamento, per discutere della proposta di legge che si trova ora in parlamento. Tra gli ospiti molti professionisti e autorità dell’Agro: il preside Giuseppe Santangelo, la professoressa Emilia Longobardi, il dottori Antonio Mirabella e Italo Fabris, l’avvocato Alfredo Cretella, monsignor Giuseppe Giudice e il direttore dell’ufficio diocesano Salvatore D’Angelo.
La docente di religione cattolica, propositrice del convegno, ha aperto il dibattito presentando una poesia del presule nocerino, “A noi la vita”, perché – ha sottolineato, «siamo qui per parlare di vita».
Dopo di lei è intervenuto il dottor Mirabella con la presentazione “La vita e la morte”, spiegando a tutti i presenti quali sono i fattori che permettono di stabilire se in un paziente è «assente il segno della vita» oppure sia deceduto. Il testamento biologico dovrebbe riportare un’espressione di volontà, ma per far questo bisogna essere lucidi, consapevoli e informati. «Queste scelte hanno bisogno di una cosa grossa: l’amore».
In realtà una soluzione a questa legge c’è: le cure palliative, legge 38 del 2010: a parlarne il dottor Fabris. Questo tipo di approccio ha molti aspetti vantaggiosi: l’uso dei palliativi migliora la qualità della vita dei malati, non accelera né ritarda la morte, fa si che la malattia compia il suo decorso senza dare sofferenza perché con ciò si può controllare il dolore. Con questa cura l’assistenza medica al paziente terminale non si fa più in ospedale, ma nel suo ambiente naturale. «Aiutare le persone con le cure palliative è un atto d’amore oltre che un dovere sancito per legge».
A chiarire i dubbi dal punto di vista legale è stato l’avvocato Cretella esponendo luci ed ombre di questa legge. La prima domanda è “stiamo andando nella giusta direzione?”. Il paziente con il testamento biologico può decidere cosa fare della sua vita in determinati casi e il medico è vincolato a rispettare queste richieste, ma così facendo il medico non rispetterebbe il giuramento d’Ippocrate né la legge 32.
«La vita? La vita! La vita… La vita». È dal ricordo di questa frase vista su un muro del Pascale che monsignor Giudice prende spunto per evidenziare ai presenti che «Dio è amante della vita. L’ uomo, con lo sviluppo della scienza, crede di poter ottenere tutto ciò che vuole, così da sostituire Dio con la tecnica. L’essere umano non comprende la fragilità di questo dono. La vita è un dono e non si baratta con niente. A morire s’impara vivendo».