Un ricco commerciante partenopeo non resiste alla crisi economica e perde lavoro, casa e famiglia. Ora è un anonimo clochard che per caso ci racconta le sue vicissitudini
di Chiara Ruggiero
Si chiama Pietro, ed è un clochard. Ma era un ricco negoziante. Andiamo per ordine: è una Napoli semideserta per il freddo quella in cui, mentre percorrevamo la strada per raggiungere la questura Medina, notiamo su una panchina, avvolto in un lungo cappotto bagnato dalla pioggia, un signore di mezza età che tossiva e tremava dal freddo.
Avremmo voluto comprargli una coperta, ma a quell’ora i negozi erano ancora chiusi, e l’unico gesto immediato è stato quello di offrirgli una bevanda calda.
Ci avviciniamo per porgergli con un sottile sorriso il bicchiere di camomilla , che lui senza esitare prende con le mani tremanti, e dopo averne sorseggiato un po’ ci guarda e ci ringrazia, e ci chiede il perché di quel gesto, di quella gentilezza a cui non era più abituato da anni ormai.
Dopo esserci presentati come due persone normali che si incontrano per caso, lui, Pietro, con lo sguardo un po’ schivo inizia a raccontare la sua storia, o meglio il suo passato. Anzi, come ci ha detto lui, una vita che non gli appartiene più, e di cui gli rimane solo una vecchia foto ingiallita e stropicciata della sua famiglia, che custodisce gelosamente nella tasca interna della sua felpa.
Una famiglia che non ha più, che lo ha abbandonato a se stesso.
Notiamo fin da subito che Pietro ha modi gentili e che si sa esprimere molto bene; all’apparenza sembra un signore che nei suoi anni d’oro doveva essere una bella persona, di un certo spessore economico e sociale.
Ci racconta di un tempo passato in cui aveva un bel negozio di abbigliamento in una delle strade più belle della ricca Napoli, dove riusciva a guadagnare molti soldi e a far vivere una vita agiata alla sua famiglia e a qualche amico, che non ci ha pensato una seconda volta a sbattergli la porta in faccia e a rubargli la famiglia quando lui è caduto in disgrazia economica.
Ci racconta che era un uomo molto stimato, frequentatore della Napoli bene, di quella che contava.
Ci parla di feste esclusive a cui partecipava, e di quelle che amava tanto con la moglie organizzare nella loro bella casa, in cui oggi vivono altre persone.
Quando la malinconia prende il sopravvento si reca nei pressi per vederla, chiude gli occhi ed immagina che sia ancora sua.
Notiamo che mentre parla e sorseggia lentamente la camomilla i suoi occhi verdi spenti iniziano a lacrimare: ci dice che è la prima volta che racconta la sua storia, ma il nostro gesto disinteressato fatto con il cuore in quel freddo giorno lo ha colpito notevolmente.
Continua a raccontare dicendo che finché sei ricco la famiglia e gli amici ti rimangono vicino, ma quando come lui per mezzo della crisi economica non riesci più a mandare avanti un negozio ti voltano subito le spalle, per non parlare delle banche succhiasoldi .
Quest’ombra con un lungo cappotto nero che si aggira per le strade di Napoli, attento a non farsi vedere, ci racconta di com’è difficile imparare a vivere per strada, perché li le regole ed il rispetto non esistono.
Imbarazzato racconta anche di come ha imparato a rendersi invisibile in modo da non essere riconosciuto da nessuno, ci dice di come a sera aspetta la chiusura dei negozi per vedere se qualcuno lascia fuori un cartone, con cui lui può costruirsi una casa di fortuna sperando che nessuno gliela rubi o la bruci con lui dentro, o di come spera nella spazzatura di trovare qualche cosa da mangiare, e non solo plastica o rifiuti.
Abbozzando un mezzo sorriso ci dice anche che il nostro incontro è stato un caso, perché lui di solito alle prime luci dell’ alba è solito dileguarsi. Ci definisce angeli che sono arrivati in suo soccorso, facendogli ricordare che le brave persone esistono ancora.