Le considerazioni di un non più giovane nocerino che ora vive fuori città: «Chi davvero beneficia di queste cose? E a chi resta bloccato in casa chi ci pensa?»

di Nino Maiorino

La vigilia di Natale l’ho festeggiata, come di consueto, a casa di mia figlia a Nocera Inferiore, in una traversina di via Barbarulo, nel cuore della city.
Per giungere a destinazione ho dovuto attraversare, con l’aiuto di un cortese vigile, una folla variopinta di persone di ogni età, che cantavano, ballavano, bevevano, vociavano.
Una folla che “vuole” stare per strada a fare baldoria, ad assaggiare improbabili fritture, seduta su scomodi sediolini o panche, o magari a ballare in maniera disarticolata, guidata da una musica… musica? Ma cosa dico! Solo rumori, assordanti, accettabili da chi è disponibile alla sordità perenne verso la quale, continuando così, si avvia.

E i bambini, imbacuccati come se dovessero affrontare il freddo polare, a frignare innervositi e spazientiti.
La “kermesse” viene organizzata, da qualche anno a questa parte, per assecondare i desideri dei baristi che si sono improvvisati ristoratori di strada, allestendo per l’occasione friggitorie ambulanti, intorno alle quali, sotto enormi ombrelloni, sistemano tavolini e sedie o tavolacci e panche, e sono felici per l’affluenza dei goderecci avventori e la conseguente baldoria.
Meno felici, o totalmente infelici, oltre agli abitanti della via o del rione, impediti ad entrare o uscire, i commercianti che si illudono che da quella folla venga fuori qualcuno che vuole acquistare l’ultima cianfrusaglia da regalare: ma sembra che tale aspettativa rimanga puntualmente delusa, giacché quella folla pensa solo ad ingozzarsi, agitarsi, magari bisticciare, a volte sparare qualche tracco e poi, andare a casa, a proseguire il festino con altre libagioni, e proseguire magari con altri botti.
Una volta, e non tantissimi anni addietro, in quelle strade esponevano solo i pescivendoli, allestendo enormi tinozze contenenti i “capitoni”, che, insieme a tanti altri pesci, finivano sulla tavola del cenone della vigilia. Ed era il rito di “babbi” e mamme che, all’ultima ora, infreddoliti, girovagavano per acquistare, magari a prezzo ridotto, gli ultimi capitoni o gli ultimi pesci per frittura rimasti; e tutto finiva lì, nel mentre le famiglie, a casa loro, si sistemavano intorno ai tavoli per il cenone della vigilia.
Purtroppo oggi quei pescivendoli sono stati spodestati dai bar e dall’orda di borgatari gaudenti. Vien da chiedersi: ma quale risultato consegue tutto ciò? C’è, indubbiamente, un beneficio per i bar, ma hanno analogo beneficio anche i commercianti?
Mi chiedo ancora: ma che senso ha tutto ciò alla vigilia di Natale? E così che si intende festeggiare il Natale, la commemorazione della nascita di Cristo: invadendo strade, piazze, locali e disertando i luoghi nei quali veramente si festeggia il Natale, le chiese e i conventi? Perché sacrificare tutto al demone del business borgataro? Segno dei tempi e della umana stupidità? E se per festeggiare il Natale si fa così, cosa succederà a fine anno o a Carnevale?
Buone festività natalizie e di fine d’anno.

Di Gigi Di Mauro

Giornalista con esperienza quasi quarantennale, è educatore e pedagogista clinico. Da oltre un ventennio si dedica allo studio della storia comparata delle religioni, ottenendo nel 2014 dal Senato accademico dell'MLDC Institute di Miami una laurea Honoris Causa in studi biblici. È autore di alcuni saggi, tra i quali uno sulle bugie di storia e religione

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