Nel vivo di una rassegna da non perdere dedicata al maniero cittadino, nostra memoria storica: ecco la denuncia degli associati di “Ridiamo vita al castello”

di Tania Pentangelo

Stessa prospettiva ma diverso scenario. Sette foto che raccontano il passare del tempo, ma soprattutto l’incuria, il decadimento, il degrado. Unico protagonista il Castello del Parco.

A voler sensibilizzare l’opinione pubblica l’associazione “Ridiamo vita al Castello” che in collaborazione con il “Saverio Forte Photography Studio”, situato in via Solimena 20, ha organizzato una rassegna fotografica, testimonianza dello stato di abbandono in cui versa quella che è una delle nostre più importanti memorie storiche. Le foto scattate da Annarita Di Costanzo e accompagnate dalle descrizioni storiche di Verdiana Tolino e quelle poetiche di Christian Liguori sono un grido contro l’indifferenza.
Ci accoglie, in un suggestivo scenario, Domenico Paolino, associato, che ci dice: «”COMe rudERI – COM’ERI” è stato il primo evento culturale non realizzato al Castello. Questo per consentire a tutti, anche a chi non può raggiungerlo, a chi non lo conosce o non lo frequenta, di fruirne. Abbiamo voluto portare qui, al centro, la storia del sito per creare un connubio sempre più saldo e forte tra associazione e città. In sostanza si tratta di un percorso fotografico che mette a confronto quello che era il Castello del Parco dieci, quindici anni fa e quello attuale. L’obiettivo è duplice: da un lato mostrare gli ambienti dello stesso evidenziandone l’evoluzione, affinché si possano preservare e dall’altro denunciare i danni presenti. Questi ultimi possono sicuramente essere ricondotti agli agenti atmosferici e naturali ma non solo, perché prima causa di decadimento è la noncuranza dell’uomo. Spesso provvediamo in prima persona, compiendo piccole opere di pulizia, ma è necessario un intervento mirato e rilevante perché giorno dopo giorno, pietra dopo pietra, un pezzo di memoria e di storia sta scomparendo, senza poter essere poi recuperato».
Un luogo da vivere ma soprattutto da mantenere in vita. E infatti Valentino Citarella, altro associato, ha le idee chiare: «Il primo intervento dovrebbe riguardare la pulizia della struttura archeologia dalla vegetazione che l’ha quasi interamente inglobata, in seguito andrebbero eseguiti i lavori di messa in sicurezza e come passo successivo quelli di restauro. Inoltre sarebbe necessario effettuare uno studio archeologico del sottosuolo, mai concretamente considerato. L’obiettivo della mostra non è quello di trovare un responsabile, ma di far riflettere il visitatore su cosa non è stato fatto ma si potrebbe fare. Il cittadino se stimolato si attiva. Noi ci impegniamo, con le nostre sole forze, per fare in modo che questo posto non sia dimenticato».

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