La tomba di due senatori nocerini, Vincenzo e Andrea Calenda di Tavani, il primo Ministro di Grazia e Giustizia e Prefetto del Regno il secondo, saccheggiata e fatiscente
di Annamaria Barbato Ricci
E’ indubbio lo sforzo che l’Amministrazione comunale di Nocera Inferiore sta compiendo per elevare il decoro del locale cimitero. Recentemente ne è stata rifatta la pavimentazione, cosicché si riesce a visitare i nostri amati defunti senza combattere, a seconda delle stagioni, con paludi o sentieri polverosi.
Vi è un punto nero, però, che offende la decenza e che mi viene sotto gli occhi, ogni volta che mi reco, oltre che alla mia cappella di famiglia, a rendere omaggio alla tomba Origlia, là dove sono sepolti i familiari di mio marito.
Non posso ignorare che proprio lì di fronte, sorge la cappella gentilizia dei Calenda di Tavani, illustre progenie nocerina, i cui eredi, ormai, non abitano più nella nostra città. A parte la mancanza di manutenzione esterna e l’incuria logica per la quasi nulla frequentazione, vi è un che di inquietante in quella cappella che fu bella allorché fu eretta, più di cent’anni fa.
Qualche avvoltoio non identificato ha rotto il bel vetro veneziano proprio al di sopra della serratura per potervi penetrare. Naturalmente, tutto ciò che di mobile potesse essere stato saccheggiato, lo sarà stato da decenni.
Più volte, però, ho visto ‘parcheggiati’ dinanzi all’altare, quasi sacrilegamente, materiali da costruzione di qualche impresa edile col pelo sullo stomaco che lavora in quasi monopolio all’interno del nostro Cimitero. Proprio ieri una lunga scala di legno, molto malmessa, era distesa fra la porta e l’altare.
Io vi entro ogni volta, per portare un fiore e una preghiera a Michelangelo, giovane e brillante architetto che mi è stato di qualche anno maggiore e venne rapito da un male crudele alla moglie e ai figlioletti molti anni fa; e anche al padre della mia amica Giulia Calenda di Tavani, austero generale di quelli che non ne nascono più per finezza, eleganza, signorilità.
Quello che mi inquieta, però, è il mistero della cripta. Perché sembra un gran baratro aperto sul nulla, mentre dall’esterno, laddove vi sono le bocche di lupo che le danno aria, chiunque può vedere che si affollano portafiori con fiori di seta e lumini elettronici, quasi si volessero onorare defunti che certamente – ho verificato – non appartengono alla famiglia titolare della Cappella.
Ho richiamato l’attenzione di uno stolido addetto del cimitero che ha ipotizzato che qualcuno avesse ‘casualmente’ lasciato fiori di seta e lumini, manco fosse una piccola discarica. Una teoria che non sta in piedi, perché tutto è allineato come dinanzi ad una tomba, non abbandonato come su un cumulo d’immondizia.
Ho avvisato la famiglia, ma gli eredi sono molti e dispersi; quelli a me più vicini, Lampo e Nuvola, vorrebbero intervenire, ma raggiungere il concerto di tutti non è semplice. D’altronde, vi è anche un interesse civico a che gli abusi – perlomeno quelli della cappella gentilizia usata come deposito da invadenti imprenditori edili – cessino: innanzitutto, perché se si vuole il ripristino reale della dignità della città di coloro che non ci sono più, occorre anche vigilare che queste incresciose situazioni non si replichino.
Inoltre, c’è un particolare che ho lasciato nel finale. Quello che vi ho raccontato è l’ennesima conferma che Nocera Inferiore è una città piena di amnesie, con una memoria debole, a macchie di leopardo. Se chi vi abita ancora strombazza le glorie dei propri ascendenti, la cui fama non andò molto al di là dei confini cittadini, basta che non ci siano concittadini in grado di perorare la causa di avi illustri e tutto cade nel dimenticatoio.
Specifico: in quella tomba vi è davvero la storia di Nocera dell’800. Ivi sono sepolti Vincenzo Calenda di Tavani, Presidente di Cassazione, senatore del Regno d’Italia e Ministro di Grazia e Giustizia, fra il 1893 e il 1896 e Andrea Calenda di Tavani, suo fratello, senatore del Regno anche lui e Prefetto in moltissime sedi: l’ultima fu Roma. Andrea fu autore di un mitico romanzo storico, il ‘Ramondello Orsino’, che racconta di un capitano di ventura del ‘300 che intervenne in aiuto del Papa Urbano VI, allorché fu assediato per sette mesi… nel Castello di Nocera (vedete che per 7 mesi, siamo stati il Vaticano?).
Di entrambi vi sono i busti nella Cappella, malmessi, e io, un anno fa, su assenso dei familiari, proposi al Comune di curarne il restauro per collocarli in comodato d’uso gratuito nell’aula consiliare (non solo tavoli di sartoria, suvvia!).
Vincenzo sposò la figlia di Nicola Bruni Grimaldi, senatore e nostro sindaco, altro nome della nostra storia; Andrea impalmò una Giovanardi, discendente di una grande famiglia cittadina.
Adesso aspetto reazioni, anche se non confido granché sull’attenzione e la consapevolezza in grado di suscitare uno scatto d’orgoglio. Forse dovrei rivolgermi ai service clubs del territorio, dai Rotary ai Lions, per quel che attiene il restauro dei busti.
Il mistero della cripta, però, permane. Almeno, con la mia denuncia, i responsabili degli abusi sono messi in guardia. Non la faranno franca.
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