Una ricerca per ritrovare i diletti di una volta, quando i bambini si divertivano nei cortili all’aria aperta e non c’erano le play station
di Anna De Rosa
Il nostro territorio negli anni ’40 e ’50 era molto povero, con un’economia completamente legata all’ agricoltura. Quindi non c’erano grandi risorse per i giochi dei bambini. Tutto quello che avevano era la loro fantasia e qualche materiale grezzo.
I bimbi di oggi sono convinti che “gioco” è l’ultima grande app in uscita sul tablet o sullo smartphone oppure quelli strapubblicizzati in tv, ma il vero divertimento era quello che avevano i loro genitori, che passavano i loro pomeriggi ad inventare sempre qualcosa di nuovo.
Ricordiamoli insieme.
Inanzittutto ‘e castellucce: si facevano alcuni castelli di noci (tre sotto e una poggiata sopra) e i giocatori a turno cercano di distruggerli lanciando un’altra noce da una precisa distanza; ‘o sparo: si gettavano da lontano otto palline verso un fosso, puntando al numero pari o dispari di quelle che riuscivano a finire dentro.
Chi non ricorda ‘o strummolo, ossia una trottola di legno scanalata che si lanciava grazie allo spago che gli era avvolto intorno. Era poi uso raccoglierla con la mano senza farla fermare. L’abilità si mostrava nel lanciare la propria trottola su quella dell’avversario spaccandola.
Vi era anche l’azzeccamuro: si lanciavano le monete o le “formelle” verso il muro. Chi le collocava più vicino vinceva.
E ancora, chi non ha mai giocato almeno una volta nella sua vita a nascondino (‘a nacquarella)? Si diceva “te foco” quando chi era sotto catturava un altro giocatore. Questi poteva essere salvato da un altro che lo toccasse e lisciasse, dicendo “t’alliscio”.
“Pis’ e pesielle” era, invece, un gioco per bambini piccoli: questi si sedevano a terra, vicino al muro. Il capogioco con un bastoncino toccava velocemente i piedi dei suoi compagni e cantava:
«Pis’ e pesielle,
carofano e cannella,
cannella accussì sia
e cu Santo Martino
‘na penna e piccione.
Figlio ‘e rre,
tira ‘o pere ‘ncoppa a tte».
Chi era toccato per ultimo doveva tirare indietro subito il piede, altrimenti pagava pegno. In ultimo, ma non per importanza, c’era la settimana, un altro gioco molto conosciuto, che era riservato alle bambine. Si disegnava a terra una “campana” con sette riquadri, o un labirinto che occorreva far percorrere da una piastrella o sassolino spingendolo avanti col piede e saltellando su un solo piede, senza poggiare l’altro a terra e senza toccare le linee divisorie.
Secondo alcuni esperti la forma a labirinto risalirebbe a epoche pagane; quella a campana, invece, sarebbe cristiana: il gioco, quindi, rappresenterebbe un’allegoria dell’anima che dalla terra giunge al Paradiso.