A poche ore dall’esonero il tecnico milanese è intervenuto telefonicamente durante la trasmissione sportiva in onda su “Quarta Rete”. Il suo è un addio al veleno: «Non serve il blasone per vincere il campionato, per essere al top serviva una migliore campagna acquisti»
di Domenico Pessolano
«Riconosco i miei errori, ma non ditemi che sono un “ciuccio”». E’ forse questa la frase chiave che può sintetizzare al meglio le forti dichiarazioni rilasciate dall’ormai ex allenatore della Nocerina Vincenzo Maiuri nel corso della seconda puntata della trasmissione “Cuore rossonero”, in onda ogni lunedì su “Quarta Rete”.
Durante il programma dedicato ai molossi, il tecnico milanese è intervenuto in collegamento telefonico per esprimere il suo parere sulle motivazioni che hanno spinto al suo esonero:«Mi assumo la responsabilità di tutto quello che sta succedendo, anche perché in questi casi a pagare è sempre l’allenatore. Posso comunque garantire di aver dato tutto me stesso; in questi undici mesi ho lavorato sempre molto intensamente, sacrificando qualsiasi tipo di diversivo e divertimento. Nella scorsa stagione, quando sono stato contattato, ero molto titubante perché non ero padrone della categoria. Abbiamo raggiunto un traguardo che in molti pensavano irraggiungibile». A causa di una serie di prestazioni poco convincenti volontà e impegno sono stati messi in secondo piano dalla società di via Matteotti, verso la quale mister Maiuri ha lanciato dei veri e propri messaggi al veleno: «Se sono stato mandato a casa forse lo merito; ci tengo a sottolineare, comunque, che lascio la squadra al quarto posto in classifica. L’obiettivo stagionale di cui i dirigenti mi avevano parlato era quello di entrare nella griglia play-off, e i risultati erano chiaramente in linea con questi programmi. Se poi lo scopo era quello di vincere il campionato era necessaria una campagna acquisti più sontuosa, con calciatori di maggiore spessore». Ancor più pesanti sono state le parole riservate a chi ha contestato per le magre figure che una compagine blasonata come quella rossonera sta collezionando: «Potevamo e dovevamo avere più dei quattordici punti attuali, ma non è il prestigio che permette alla squadra di vincere le partite. Il calcio per me è ben altro, sul campo i nomi e il blasone delle società contano davvero poco».