Il dato risalta da un’indagine dell’Università Tor Vergata di Roma, che vede le regioni del Nord abbondantemente in vantaggio sulla nostra. Biblici i tempi delle liste di attesa
Servizio sanitario, la Campania ultima in classifica. A dirlo un’indagine contenuta nel progetto “Una misura di performance dei Servizi Sanitari Regionali”, condotto dal C.R.E.A. Sanità dell’Università di Roma Tor Vergata”.
Per l’indagine è il Veneto al primo posto per la qualità e l’efficienza dei servizi, ma in genere tutte le regioni del nord.
Proprio su questo argomento, lunedì 24 ottobre, presso la sede di “Sinistra Italiana” a Napoli, si è tenuta un assemblea aperta alla città, alle associazioni, ai centri sociali, agli operatori del settore, ai sindacati, intitolata la “#Sanita’ Negata in Campania”.
In discussione la condizione disastrosa in cui versa da oltre un decennio la sanità campana, che in questo 2016 sta assumendo le dimensioni di un vero e proprio collassamento strutturale delle architravi della sua missione pubblica. Tra le cose messe in evidenza la chiusura di ospedali a Napoli, la mancanza di piani industriali di efficientamento della sanità, la realtà dei pronto soccorso campani che vivono clima da ospedali di guerra, l’annullamento di valori professionali, di prestazioni mediche e sopratutto di umanità con pazienti trattati senza privacy, in maniera sbrigativa e ammassati in corridoi pieni di barelle.
I dati dal “Tribunale del malato” evidenziano che un paziente oggi deve aspettare tredici mesi per una risonanza magnetica; un anno per una mammografia o una Tac; nove mesi per un’ecografia; sette per una radiografia; tredici mesi per una visita psichiatrica; nove mesi per un controllo oculistico; otto mesi per un appuntamento dal cardiologo; sei mesi per essere ricevuti dall’oncologo e altrettanti dall’ortopedico.
Tempi inaccettabili perché rischiano di compromettere il senso stesso della prevenzione e della diagnosi tempestiva.
Secondo il CENSIS nell’ultimo anno undici milioni di italiani – uno e mezzo in più rispetto all’anno precedente – hanno rinunciato alle terapie a causa dei tempi troppi lunghi e dell’impossibilità di pagare una visita privata o in intramoenia. E quelli che pagano di tasca propri hanno speso quasi 500 euro a persona nel 2015.
Una situazione di sfascio che vede anche le strutture private in difficoltà per mancanza di liquidità, riduzioni di personale e spesso vendite, che ovviamente offrono possibile infiltrazione della criminalità organizzata pronta a impadronirsi delle cliniche che falliscono.