Da Facebook all’Enaudi, lo sviluppo di singoli post diventati libro. Matteo Bussola presenta il suo primo lavoro editoriale che racconta la quotidianità e le speranze di essere genitore, guardando la realtà attraverso i propri occhi
di Assia Califano
Si è tenuto sabato, nel tardo pomeriggio, a Roccapiemonte, l’incontro con il neo-scrittore Enaudi Matteo Bussola, grazie alle associazioni Fedora e Rosa Aliberti. L’autore è prima fumettista per la Bonelli, e la sua avventura nell’ambito letterario nasce da una sua lettera-post indirizzata ad un importante rapper italiano.
I pensieri, i dialoghi e le scene presenti nel libro sono estratti di vita quotidiana che l’autore all’inizio raccontava sui social. Con una sensibile ironia e freschezza, Bussola risponde alle domande delle figlie e porta il lettore a riflettere sulla figura del padre. «Noi viviamo schiavi di grandi bugie che ci vengono raccontate, – risponde l’autore quando gli si chiede se è ordinario o meno che un papà possa svolgere le mansioni da madre – si pensa che c’è una certa sfera sensibile dove possono entrare solo le donne, come se noi fossimo stati estromessi. Io e la mia compagna dividiamo le faccende domestiche e familiari al 50%, e quando mi chiamano ‘mammo’ mi dà noia: io sono un papà che semplicemente fa il papà. La famiglia naturale non esiste: la famiglia è un organismo all’interno del quale vengono espressi dei bisogni, l’importante è che ad essi venga fornita una risposta e non importa chi risponde. In famiglia c’è bisogno di amore e di presenza».
«Il libro nasce dal mio essere disegnatore – ci racconta Bussola – A volte devo lavorare su piccoli spazi di foglio dove deve descriversi la vita (e tutto deve rispettare degli ordini). Questa cosa accade anche quando scrivo, vengo ispirato dalle situazioni. Il romanzo non vuole essere una guida sulla paternità; esso vuole descrivere in maniera molto semplice e leggera come un padre osserva le figlie, dove attraverso lo sguardo incuriosito della bimba le dà delle risposte».
«Questo è un libro anche sul pregiudizio: da piccolo mi si diceva che non dovevo disegnare fumetti, poi mi è stato detto di non perdere tempo su facebook e di non perdere le serate con le mie figlie – conclude lo scrittore prima dei saluti – Ora posso dire che il tempo perso da piccolo a disegnare mi ha portato a fare il lavoro dei miei sogni, il tempo perso con le mie bambine mi porta amore ogni giorno, e il tempo perso sui social mi ha portato a pubblicare un libro. Il tempo che impegniamo a fare cose che amiamo, non è tempo perso ma solo guadagnato».