Quando, con l’arrivo della stagione autunnale, sopraggiungevano anche vari malanni, le nostre ave avevano sempre un sistema semplice ed efficace. E talvolta perfino misterioso …

di Anna De Rosa

Hai un malanno? La nonna aveva sempre un rimedio pronto per l’occasione. E si, perché le nostre care, dolci, sagge vecchiette erano sostitute più che valide al farmacista: in molti casi la cura consisteva nell’utilizzare erbe mediche che secondo la tradizione dovevano essere colte durante la notte di san Giovanni; in molti altri casi si recitavano formule spesso con richiami alla religione.

Solo in tempi piuttosto recenti l’erboristeria sta riportando in qualche modo l’uso di questi antichi rimedi, confermandone la validità di molti. Secondo la nonna per la tosse il rimedio era semplice: miele o vino cotto; per il mal di gola massaggi di olio caldo e foglie di ruta. Il raffreddore, invece, guariva con il decotto di fiori di malva e semi di lino. Se la febbre era già alta bastava applicare sulla fronte una patata tagliata a metà.
Con l’erba ruta si faceva un infuso per placare i reumatismi, ma era utile anche per molti altri morbi, dal momento che: “l’erba ruta ogni male stuta”. Infatti serviva a ristabilirsi anche da una storta, applicando le foglie come una fasciatura, oppure era d’aiuto per combattere stati ansiosi e depressione: un’erba in grado di addolcire gli animi più duri e combattivi. Inoltre quest’erba era ritenuta un ottimo rimedio contro la paura. Si metteva in tasca, appunto, quando si dovevano affrontare situazioni in cui c’era da temere per qualche motivo.
I semi di lino venivano ritenuti formidabili per la bronchite, infatti si potevano applicare sul petto cataplasmi di questi semi (ottimi anche per i foruncoli); in mancanza si poteva bere un infuso di menta, camomilla e foglie di canna. L’ infuso di semi di lino era – per le nonne – un toccasana soprattutto per il mal di pancia.
Per i morsi di insetto invece si usava aglio pestato (la saggezza di una volta! Noi oggi usiamo l’ammoniaca che come effetto non è differente) e per le punture d’ape bastava applicare sopra di essa una grossa chiave di ferro. Per le scottature? Olio d’oliva o fette di patate.
La tosse convulsiva passava facendo dormire il bambino su un cuscino imbottito di erbe odorose: timo, menta, camomilla, salvia e lavanda.
Andando ancora più indietro nel tempo si ricorreva a riti “magici” per curare i malati. Per i dolori all’attaccatura dello stomaco, bastava posare sulla pancia un intruglio di rosso d’uovo e fili di stoppa, che poi veniva rimosso e bruciato. I “vermi”, malanno diffusissimo, passavano grazie a “‘o nciarmavierme” (incanta-vermi), che utilizzava varie formule.
L’orzaiolo andava via facendo dondolare davanti agli occhi del paziente per tre volte un ago col filo e pronunciando “che staje cusenno?” “caciuttolo”.
’A ‘nguinaglia”, infiammazione della ghiandola inguinale, guariva bruciando sul terreno della paglia, le ceneri poi raffreddate si poggiavano sul piede e si recitava una sorta di formula.
E i rimedi delle vostre nonne? Raccontateci.

 

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