La Cassazione mette un freno al comportamento molesto dei figli che pretendono incessantemente il sostegno economico di mamma e papà. La pena è il carcere ai sensi dell’articolo 612 bis del codice penale
di Danila Sarno
Abitare con mamma e papà è ormai una vera e propria tradizione per i giovani adulti italiani. Anche la Corte di Cassazione ha fatto suonare la sveglia per quelli che, secondo gli ultimi dati Istat, sono circa sette milioni di individui, di età compresa tra i diciotto e trentaquattro anni, che vivono ancora con i genitori.
È pur vero che per alcuni di essi, come studenti e disoccupati, si tratta purtroppo di una necessità ma per altri, invece, è una questione di mera comodità.
Crisi o non crisi, il fenomeno ha raggiunto dimensioni preoccupanti ed è storicamente radicato, tanto che anche la giurisprudenza si è trovata a prenderne atto, decidendo sul caso di un ragazzo che, dopo aver perso il lavoro, si era accampato nel sottoscala dell’abitazione dei genitori chiedendo loro aiuto economico ed ospitalità. Ebbene, in primo grado, egli era stato condannato alla reclusione per il reato di stalking di cui all’articolo 612 bis del codice penale. Dalle dichiarazioni delle persone offese, infatti, risultavano delle condotte plurioffensive abituali, oltre che comportamenti vessatori ed opprimenti. Anche il bivaccare nel sottoscala, a detta dei giudici, può considerarsi una condotta di per sé minacciosa, soprattutto se finalizzata ad ottenere denaro.
La condanna è stata confermata dalla Corte di Cassazione, con la sentenza numero 29705 del 2016, nonostante l’imputato avesse sostenuto di non aver messo in atto “reiterate condotte di molestia” (richieste dalla legge per la sussistenza del crimine in questione), ma “un’unica condotta” dettata dalla necessità di trovare un ricovero. Per di più egli aveva affermato di aver agito in assenza di qualunque dolo, non avendo alcuna intenzione di turbare i genitori, quanto piuttosto di convincerli ad ospitarlo in un momento di difficoltà.
In ogni caso, sulla base delle prove raccolte nei gradi precedenti, la Corte si è trovata a ritenere il ricorso inammissibile, sottolineando di non poter in quella sede procedere ad un’analisi dei fatti diversa rispetto a quella effettuata dal giudice d’appello.
Insomma una bella batosta per quei sette milioni di “bamboccioni” che dovranno scegliere tra il raggiungere un minimo di indipendenza e il rischiare il carcere per continuare ad essere accuditi da mamma e papà.