Partita di calcio, che sia di campionati mondiali o europei o nazionali, fa lo stesso, sono tutte uguali.

Se ne hai vista una le hai viste tutte, di una noia mortale. Ventidue miliardari sbucano nell’arena come gladiatori e per circa due ore si lanciano l’un l’altro avanti e indietro coi piedi una palla, mentre migliaia di persone tutt’intorno aspettano per ore che questa palla finisca una due o tre volte in due ore, per qualche fortunosa combinazione, dentro una cosiddetta porta e una rete alle spalle di un gorilla saltatore. Al che erompe per l’aere un urlo disumano da parte di quegli oziosi che stavano ad aspettare e che da se stessi si definiscono tifosi, cioè affetti da una grave malattia infettiva o fans, cioè fanatici.

Partite che sono tutte uguali perché costoro, i miliardari che ci prendono per il culo, sono allevati come polli da batteria, istruiti alle stesse tecniche uguali in tutto il mondo, come gesuiti o samurai o marines, membri di una consorteria universale le cui regole sono standardizzate e ferree come un Corano. Più le rispettano e più sono miliardari, sicchè ormai non esiste più l’outsider, il guizzo geniale e originale tipo Pelè o Maradona o Corso. C’è rimasto solo Buffon con un minimo di umana e distinta personalità ma fra poco se ne va anche lui.

Più ridicolo e avvilente è che questa cosa la chiamiamo sport, parola che deriva dal latino deportare, cioè uscire fuori dalle porte della città per dedicarsi ad attività fisiche al fine della buona salute del corpo e di diporto, di divertimento. E invece non è altro che spettacolo a cui le masse passivamente assistono, incapaci come sono di distinguere tra lo spirito di festa e la noia, alimentato dal potere come strumento al fine di eccitare in qualche modo i rozzi intelletti fiaccati dal lavoro quotidiano e di distogliere l’attenzione dai problemi reali, cancellando definitivamente la pericolosa attitudine alla contemplazione.

Non si spiegherebbe altrimenti perché i governi non tassino dell’80 per cento tutte le scandalose transazioni di calcio mercato e i favolosi compensi di giocatori e allenatori. Con quel che si ricaverebbe dall’acquisto o vendita di uno solo di questi balocchi miliardari si potrebbe costruire un ospedale o una strada.

Come pure, questa fottuta moda di andare in spiaggia a sciacquarsi e prendere il sole. Che bello! Quest’anno c’è tutto esaurito negli alberghi dei luoghi balneari nei parcheggi e negli ombrelloni, alla faccia della borsa, dei pensionati e del PIL. Non risulta che lo si facesse prima della fine del XIX secolo, cioè fino all’avvento della civiltà industriale e di massa. I nostri antenati si lavavano, quando si lavavano, nelle terme, nei cupielli e nelle vasche. Fino ad allora il mare serviva per la pesca, per il commercio e per la conquista e l’esplorazione di luoghi lontani e comunque era sempre un nemico pericoloso: “pe’ mare nun ce stanno taverne”, dal mare venivano pirati e saraceni, tanto che i centri abitati si costruivano nell’interno e torri di avvistamento lungo le coste, tranne le città portuali, ben protette e difese. I ricchi borghesi cominciarono a usarlo per i propri ozi e per dar sfogo alla pruderie repressa, vedi La morte a Venezia, consegnandolo poi alle masse, come strumento di consumismo e di controllo sociale.

Sì, perché con esso si alimentano e si finanziano i produttori di costumi da bagno di ombrelloni di stendini di tappetini galleggianti di palette e secchielli di gestori di stabilimenti balneari di pinne e maschere sibacquee etcetera e si costringe all’autocastrazione mercè l’allenamento alla simulazione d’indifferenza a cospetto della nudità del prossimo, che è regola e convenzione sociale finalizzata al controllo dell’istinto sessuale, il più primordiale e più pericoloso appartenente al regno animale in generale e alla specie homo sapiens in particolare. Finchè, a furia di simulazione, ne  consegue l’ereditarietà del carattere acquisito per abitudine e il definitivo indebolimento ed addomesticamento dello stesso.. Con buona pace dello spirito di autoaffermazione e di rivolta.

Questi sono i sofisticati strumenti al servizio del potere entro la società di massa postindustriale e democratica.

Aldo Di Vito
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Di Gigi Di Mauro

Giornalista con esperienza quasi quarantennale, è educatore e pedagogista clinico. Da oltre un ventennio si dedica allo studio della storia comparata delle religioni, ottenendo nel 2014 dal Senato accademico dell'MLDC Institute di Miami una laurea Honoris Causa in studi biblici. È autore di alcuni saggi, tra i quali uno sulle bugie di storia e religione

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