La notizia è stata comunicata dalla presidente dell’Avis di Nocera Inferiore, Silvia Rocco. «Si compra il sangue dall’esterno con un enorme aggravio economico»
di Tania Pentangelo
Rischia la chiusura il Centro Trasfusionale dell’Umberto I a Nocera Inferiore. L’allarme è stato lanciato dall’AVIS cittadina, quotidianamente presente al presidio ospedaliero.
A parlare la presidente dell’associazione Silvia Rocco (nella foto di apertura), volontaria e portavoce di profonde e complesse problematiche che preoccupano e rammaricano. «Il Centro Trasfusionale dell’ospedale Umberto I era il fiore all’occhiello dell’intera regione Campania – ci dice – e faccio riferimento al grosso lavoro svolto: alla raccolta e distribuzione del sangue, al congelamento delle cellule staminali, alla lavorazione del sangue grazie ad attrezzature ad alta tecnologia, necessarie sia per i pazienti oncologici che per quelli della terapia intensiva neonatale. Basti pensare che grazie alla produzione di emoderivati ha prodotto per l’azienda un risparmio di 400mila euro, che però non è stato reinvestito. Oggigiorno si è capaci a malapena di sopperire alle urgenze, addirittura nei mesi scorsi i medici sono stati costretti a chiamare il 118 per depistare i politraumi presso altri pronto soccorso».
Si parla purtroppo di carenze croniche, che compromettono l’operatività dell’intera struttura.
«C’è una grave carenza di personale medico, infermieristico e tecnico – aggiunge- non facciamo raccolta con il centro da novembre 2015 e la richiesta media di sacche ematiche, considerata la grandezza dell’ospedale, va dalle 30 alle 40 giornaliere. Per sopperire si è infatti costretti ad acquistarle, in caso di disponibilità, con un aggravio economico non indifferente».
Insomma, per ogni sacca acquistata “fuori” l’Asl tirerebbe dal cassetto circa 160 euro, contro i circa 16 che costerebbe la stessa quantità di sangue prelevata dalla locale Avis. Uno spreco enorme, per il quale non si intravede giustificazione valida. Senza contare che il laboratorio poi rivenderebbe, come fatto in passato, emoderivati come emoglobina e staminali alle case farmaceutiche, ricavandone un ulteriore utile.
«Non sono da meno le difficoltà tempistiche – continua la Rocco – in quanto durante i prelievi si può contare sulla presenza di un solo medico e due infermieri. In questo modo i tempi di attesa non sono fattibili, gli orari non consoni a tutti. Abbiamo impiegato quindici anni per costruire il nostro pacco donatori abituali: persone che con spirito solidale ed altruistico consentivano al presidio l’autosufficienza, ed ora non hanno più la possibilità di aiutare chi ne ha necessità. Finiranno per recarsi presso altre strutture non salernitane, nonostante l’emergenza locale. Come associazione abbiamo anche proposto al direttore sanitario una soluzione che ci caricasse della remunerazione del personale, ma non è stata accettata. Manca l’aiuto dell’Asl Salerno, vanno prese decisioni concrete. Non si può “tenere in vita” un pronto soccorso di questo livello senza potenziali ed essenziali servizi».
La presidente inoltre aggiunge: «Abbiamo 4000 iscritti ma non una sede adeguata, disponiamo di una solo locale da condividere in 8 persone. È stata già fatta richiesta all’Asl e al sindaco ma abbiamo trovato un muro. Chiediamo una collocazione decorosa».