Le lesioni provocate nel corso di eventi sportivi, anche se connotate da eccessiva violenza, sono scriminate dalla giustificazione atipica dell’accettazione del rischio consentito
di Danila Sarno
Come disse Winston Churchill “gli Italiani perdono le guerre come se fossero partite di calcio e le partite di calcio come se fossero guerre”. Nulla da obiettare: per la maggioranza degli uomini non c’è niente di più irritante di una gara persa o una scorrettezza in campo, tanto che non è raro assistere ad eccessi di foga e aggressività. Può però tanto ardore giustificare condotte scorrette dei giocatori che arrecano seri danni ai rivali?
La risposta è stata fornita dalla Corte di Cassazione in occasione di quanto accaduto durante una partita di calcio del campionato di eccellenza, girone Sardegna, in cui un giocatore della squadra dell’Alghero, nel tentativo di impossessarsi del pallone bloccando il contropiede avviato all’ultimo minuto da un avversario, ha scagliato un calcio troppo violento provocando la frattura della tibia del malcapitato.
Il giudice di pace e quello d’appello hanno condannato l’imputato a risarcire il danno e a scontare la pena prevista per il reato di lesioni personali colpose.
Eppure in Cassazione il calciatore ha sostenuto che il suddetto delitto risulta insussistente alla luce della scriminante atipica dell’accettazione del rischio consentito, la quale esclude l’antigiuridicità di eventi lesivi causati durante incontri sportivi nel rispetto delle regole di gioco. Il calcio in particolare è “una disciplina che implica l’uso eventuale della forza fisica e pertanto costituisce un’attività rischiosa, consentita dall’ordinamento a condizione che il rischio sia controbilanciato da adeguate misure di prevenzione”.
Tale rischio consentito non può essere misurato in astratto, ma solo sulla base di elementi concreti come la proporzionalità della violenza rispetto alla decisività della competizione e la frequenza degli scontri fisici. Si tratta di un rischio che può essere accettato entro i limiti del rispetto del regolamento e solo in assenza di finalità lesiva.
Nel caso di specie la Corte ha ritenuto sussistente l’esimente atipica dell’accettazione del rischio consentito, considerando l’intervento del calciatore dell’Alghero come la naturale conseguenza della concitata azione fisica e non come un atto volto a danneggiare dolosamente l’avversario.
Una condotta che a detta degli Ermellini va sanzionata unicamente a norma del regolamento sportivo non perché connotata da eccessiva aggressività, ma perché scaturita da un evidente errore di calcolo dei tempi di intervento sul pallone.
Dunque nessuna paura: si potrà ancora giocare serenamente sui campetti di calcio senza temere che persino una partitella con gli amici possa trasformarsi nell’occasione di commettere un reato.