Se non è fatta in qualità di pubblico ufficiale, la “spintarella” non diventa abuso d’ufficio: resta una semplice accorata richiesta, a cui si può anche non acconsentire
di Danila Sarno
La raccomandazione è una pratica all’ordine del giorno in Italia. La ragione è che si tratta di un meccanismo così ben funzionante, da non generare un’effettiva disapprovazione comune. Persino la Cassazione in passato ha più volte avallato questa usanza tutta italiana.
Da ultimo, nel 2014, la Corte si è pronunciata sul ricorso proposto da un comandante dei Carabinieri, che aveva “segnalato” ad un assessore comunale la propria figlia, partecipante ad un concorso pubblico. Il militare dell’Arma era stato inchiodato da alcune intercettazioni ambientali, emerse durante le indagini che avevano coinvolto per abuso d’ufficio e falsità in atto pubblico anche la commissione del concorso, il presidente della stessa, l’assessore e il segretario comunale. Nonostante ciò, l’Ufficiale è riuscito a sfuggire alla condanna per abuso d’ufficio grazie alla prescrizione del reato. Ed è proprio contro questa decisione che il carabiniere ha proposto impugnazione, subito accolta dalla Suprema Corte in ragione del fatto che “in presenza di una causa estintiva del reato, il proscioglimento nel merito deve essere privilegiato quando dagli atti risulti, come nel caso in esame, la prova positiva dell’innocenza dell’imputato”. Infatti, a detta degli Ermellini, sarebbe insussistente l’abuso d’ufficio del Comandante in concorso con gli altri imputati perché “la raccomandazione è un atto che lascia il pubblico ufficiale libero di aderire o meno a un invito”. Essa di conseguenza non basta a prospettare un concorso morale, essendo pure necessari comportamenti positivi e coattivi che condizionino direttamente l’operato del soggetto attivo. Per di più nella sentenza si legge che, affinché si realizzi il suddetto delitto, è necessario “l’esercizio del potere per scopi diversi da quelli imposti dalla natura della funzione attribuita”: nel caso di specie la segnalazione è estranea alle tipiche mansioni svolte da un Comandante dei Carabinieri.
In conclusione, i giudici di legittimità hanno di fatto “legalizzato” una pratica eccessivamente diffusa nel nostro paese, che crea disuguaglianza, sfiducia nelle istituzioni, inefficienza produttiva e che, soprattutto, toglie molto a chi davvero merita.