Nelle scorse settimane ne abbiamo viste di tutte i colori: da un FBI che si è rivelata irremovibile pur di ottenere informazioni, alla causa di Microsoft nei confronti del governo americano. Cosa sta succedendo?
di Valerio Kohler
Si sa, abbiamo vissuto da pochi anni nella famigerata rete, ma nel giro di qualche decennio abbiamo osservato evoluzioni a cui poche realtà possono minimamente sperare di competere. Dopotutto internet è stata spesso portata nei dibattiti per giudicare la sua importanza a livello storico, uscendone molte volte vincitrice tra milioni di ricerche esplorate dall’essere umano. E’ stato con il Web 2.0, però, che sono nate le piattaforme online più visitate al mondo: Facebook, YouTube e Twitter sono gli esempi più lampanti di questa rivoluzione, ma la lista potrebbe andare avanti per intere pagine. Ormai la rete è fondamentale, fa parte della nostra vita quotidiana e accumula informazioni private e, frequentemente, intime.
E’ quindi normale desiderare una forma di privacy quantomeno essenziale, per evitare che chiunque possa osservare le nostre comunicazioni quotidiane, e scandali come lo sblocco di un semplice iPhone possono causare quindi rabbia e sconforto da parte della maggioranza delle persone. A cosa ci stiamo riferendo? Semplicemente, il cellulare in quel caso era legato a Syed Rizwan Farook, uno dei due autori della sparatoria a San Bernardino, negli Stati Uniti, dove persero la vita 14 persone. L’FBI poi, per consultare informazioni sensibili, è andata ad analizzare lo smartphone di Syed che, però, era talmente avanzato da non permettere alcuna analisi, tant’é che venne chiesto direttamente ad Apple di fornire informazioni precise sul bypass del sistema di sicurezza. Da lì Apple si rifiutò categoricamente, dicendo che non avrebbe negato a nessuno la propria privacy, inclusi casi particolari come quello di San Bernardino. Sul caso è persino intervenuto Barack Obama, durante il recente festival del South by Southwest, nel quale ha voluto condividere la propria opinione: “La domanda che ci dobbiamo porre è, se possibile a livello tecnologico, quando costruiremo un dispositivo impenetrabile o un sistema dove la crittografia è talmente forte da non poter arrivare più ad una chiave, non essendoci più una porta quindi… Come fermeremo il pedofilo? Come risolveremo gli attentati terroristici? Quali meccanismi avremo a disposizione per fare almeno le cose semplici, come il controllo delle imposte? Dovremo fare delle decisioni su come bilanciare questi rispettivi rischi”. Si parla quindi della minaccia, da parte di qualsiasi ente, di estrapolare e di controllare. La paura, che conseguentemente esce, è quella di vivere in un mondo Orwelliano, dove qualsiasi parola potrà essere letta ed utilizzata contro di noi, o anche a nostro favore, dipende. Dopotutto la nuova meccanica di Messenger, servizio di messaggistica istantanea di Facebook, fa proprio questo; introducendo i bot si potranno ricevere gli aggiornamenti del Wall Street Journal, per fare un esempio, ma ciò permetterà anche ad altri di ottenere informazioni personali come la residenza, il numero di telefono o informazioni intime, il tutto corredato da un sistema che sembra, a prima vista, pulito e sicuro. Sembrano infatti innocenti queste funzioni ma se si collega anche la recente accusa di Microsoft al governo americano, allora persino i sistemi di sicurezza più innocui si riveleranno rischiosi. L’azienda è arrivata a fare causa al proprio governo per un semplice motivo: l’assenza di comunicazione. Per ora, il dipartimento di giustizia può infatti estrapolare dati dal cloud e consultarli, senza che ci sia alcun avviso nei confronti della persona colpita. E’ pur vero che certe cose vengono fatte per mantenere la sicurezza dell’individuo, e mai bisognerebbe pensare a complotti eccessivamente fantasiosi, ma il timore resta, indelebile e costante.