«Chi segue un percorso riabilitativo all’interno del carcere già di per sé sta scontando una pena personale, oltre che giustiziaria». Questo il messaggio che la Compagnia Stabile Assai, composta dai detenuti del carcere di Rebibbia, ha voluto trasmettere ieri sera al teatro Diana

di Edda Maiorino

«Noi abbiamo tanto da imparare da voi, ma anche voi potete imparare tanto da noi». Con queste parole, pronunciate dall’ex camorrista Cosimo Rega (foto al centro), si è concluso lo spettacolo teatrale, “Un amore bandito”, andato in scena ieri sera al teatro Diana di Nocera Inferiore. Protagonisti della storia d’amore tra due giovani briganti in una Italia post-unitaria e di tutti i personaggi caratteristici di quegli anni, come Giuseppe Garibaldi, Papa Pio IX e il generale spagnolo Josè Borjes, erano i detenuti del carcere di Rebibbia di Roma.

Da anni, ormai, molti di essi compongono la Compagnia Stabile Assai, sorta nel 1982 e sviluppatasi nel corso degli anni, tanto che non tutti i componenti ve ne fanno parte sin dagli albori. Tra gli attori non solo detenuti, alcuni dei quali ergastolani, ma anche detenuti in semilibertà vigilata o addirittura persone che hanno messo fine alla parola ‘carcere’. Importante è la presenza di Rocco Duca, unico agente di polizia penitenziaria in Italia a recitare con i “suoi” detenuti, e della dottoressa Patrizia Spagnoli, autrice dello spettacolo insieme ad Antonio Turco, e terapeuta teatrale nei carceri di Spoleto e Rebibbia. Lo spettacolo è stato promosso dal Rotary Club Apudmontem, il cui presidente è Paolo Attianese (nella foto di Chiara Ferrigno), con l’intento di aiutare, grazie ai fondi raccolti, la Fondazione Polio plus nell’acquisto di vaccini utili a sconfiggere la poliomielite, ancora oggi molto diffusa nel mondo. Come ci spiega Antonio Turco (foto in basso), fondatore della compagnia e funzionario pedagogico della Casa di reclusione di Rebibbia, «la scelta di raccontare la storia dei briganti italiani, personaggi indiscussi di metà ‘800, nasce dall’idea, in qualche modo, di spiegare alcune loro difficoltà che ancora oggi troviamo in coloro che hanno sbagliato nei confronti della giustizia italiana». Il paragone nasce proprio dal disagio che queste persone vivono nei confronti della società, così come un tempo erano vissuti dai briganti. «Ogni persona ha una propria storia ed ognuno nella vita può commettere degli errori. La cosa principale – continua Turco – è rendersi conto degli sbagli fatti e pagare, ma una volta scontata la pena tutti hanno diritto ad una seconda possibilità. Bisogna che le persone imparino ad avere una visione differente nei confronti dei detenuti, poiché chi segue un percorso riabilitativo all’interno del carcere già di per sé sta scontando una pena personale, oltre che giustiziaria. Ecco perché noi giriamo per le scuole italiane e parliamo di criminalità e legalità con i giovani, proprio per trasmettere un messaggio positivo e far capire che nella vita si può sempre migliorare». Proprio di questo ci parla Giovanni Arcuri (nella foto in alto nei panni di Pio IX), ex narcotrafficante e in libertà da circa 3 anni, nonché attore del noto film dei fratelli Taviani “Cesare deve morire”, «non è stato semplice reintegrarsi nella società. Purtroppo le persone vivono di pregiudizi ed è difficile scollarsi di dosso l’etichetta che portiamo. Il teatro, così come il cinema, mi hanno aiutato molto a “rompere” con il passato e ad iniziare una nuova vita. Oggi prendo tutto quello che la vita mi offre, vivo al meglio questa mia “seconda possibilità”».

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