L’eruzione del Vesuvio del 1944 fece a Nocera Inferiore ben dodici vittime, tra cui la metà bambini: un numero impressionante rispetto ai ventisei di tutta la Campania

di Anna De Rosa

Non bastava la guerra, i bombardamenti e tutti gli eventi catastrofici di quell’ anno a caratterizzare quegli anni difficili dei nocerini dell’epoca, i nostri cittadini furono sottoposti ad un’ altra dura prova.
«Avevo 6 anni. Ricordo il flusso lavico osservato dopo l’imbrunire, evidente per il colore rosso della lava incandescente. Non ricordo caduta di cenere. […] C’ era la guerra e l’eruzione non destava preoccupazione». Giuseppe Luongo, direttore dell’osservatorio vesuviano.

Quel pomeriggio del 18 marzo 1944 il Vesuvio riprese la sua attività eruttiva e discesero due colate laviche, una diretta a sud dove si arrestò a 300 metri sul livello del mare e un’altra diretta verso nord che raggiunse gli abitanti di San Sebastiano al Vesuvio e di Massa di Somma, circa diecimila persone evacuate e trasferite a Portici.
Un agente dell’Intelligence Service britannico Norman Lewis riporta nel suo libro “Naples ’44” (1978) un’interessante descrizione dell’avanzata del fronte lavico nella città di San Sebastiano:
«[…] la lava si stava inoltrando tranquillamente lungo la strada principale, e ad una cinquantina di metri dal margine di questo cumulo di scorie che lentamente avanzava, una folla di diverse centinaia di persone, in gran parte vestite di nero, pregava inginocchiata. […] La lava si muoveva alla velocità di pochi metri all’ora, e aveva coperto metà della città con uno spessore di circa 10 metri. La cupola di una chiesa, emergendo intatta dall’edificio sommerso, veniva verso di noi sobbalzando sul suo letto di cenere. L’intero processo era stranamente tranquillo. La nera collina di scorie si scosse, tremò e vibrò un poco e blocchi cinerei rotolarono lungo i suoi pendii. Una casa, prima accuratamente circondata e poi sommersa, scomparve intatta dalla nostra vista.

TUTTI I NOMI DELLE DODICI, DIMENTICATE, VITTIME NOCERINE

Di Costanzo Luigi;
Vicidomini Rosaria con il figlio Notari Mario;
D’ Alessio Leonilde; 
Ferrentino Antonia di Giovanni;
Cassata Rosa con i figli Ferrentino Luisa e Angelina; 
i fratelli Tortora Alfonso e Vincenzo;
Granato Maria;
Ferrentino Luigi;

Un rumore da macina, debole e distante, indicò che la lava aveva cominciato a stritolarla. Vidi un grande edificio con diversi appartamenti, che ospitava quello che chiaramente era stato il miglior caffè della città, affrontare la spinta della lava in movimento. Riuscì a resistere per quindici o venti minuti, poi il tremito, gli spasmi della lava sembrarono passare alle sue strutture e anch’esso cominciò a tremare, finché le sue mura si gonfiarono e anch’esso crollò … ».
Ma il 21 marzo iniziò un’altra fase eruttiva, otto “fontane di lava”, l’ultima delle quali durò circa cinque ore: spinte dal vento, scorie e cenere si depositarono nel territorio della valle del Sarno.
A mezzogiorno del 22 marzo si alzò una colonna eruttiva alta che danneggiò maggiormente Terzigno, Pompei, Sarno, Angri, Pagani, Nocera, Cava ed i comuni limitrofi. L’attività continuò fino al 29 marzo.
Nocera restò sepolta sotto un manto di diversi centimetri; cercando di proteggersi il viso con oggetti di fortuna si cercava di liberare le case dai lapilli e dalla cenere che vi si erano depositati, spalando con le pale e le vanghe e riversando il materiale vulcanico per le strade o nei veicoli.
Molti concittadini morirono tra le macerie delle proprie abitazioni. Tra le ventisei vittime di tutta la Campania, dodici erano nocerine, la metà delle quali bambini.
I paesi posti alle falde del Vesuvio subirono smisurati danni patrimoniali, ma la popolazione fu evacuata in tempo. Il nostro territorio, invece, sebbene maggiormente distante dal vulcano e quindi apparentemente al riparo dall’eruzione, fu quello che pagò maggiormente lo scotto in termini di vittime umane, anche a causa delle fortuite situazioni climatiche.
La maggior parte della popolazione rimase nelle proprie case mettendo a repentaglio le proprie vite «per il legittimo attaccamento alla “roba”» e, seppur avessero voluto tentare la fuga, non vi era la disponibilità di mezzi di trasporto per abbandonare il paese, né le attuali organizzazioni di protezione civile.
Ci duole sottolineare che nessuna epigrafe ricordi queste vittime, i nostri innocenti concittadini.

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