Un giorno Orazio scrisse “Ibam forte via Sacra..” che è l’incipit di una delle maggiori opere letterarie di tutti i tempi, la satira del seccatore, quel tale che una mattina, mentre Orazio se ne andava a passeggio lungo la via Sacra, gli si appiccicò appresso, prima adulandolo e chiacchierando di versi e di poesia, per giungere e magnificare le proprie virtù letterarie.
Il povero Orazio, per quanti sforzi facesse, non riusciva in nessun modo a spiccicarselo di dosso, persino chiedendo aiuto ad un amico che si trovò a passare il quale però, intuendo il suo problema, sadicamente lo lasciò nelle peste, finchè il seccatore finì per svelare il vero motivo della sua petulanza, aveva una causa in tribunale e voleva che Orazio gli facesse da patrono, ma più ancora desiderava essere presentato a Mecenate, che sapeva amico stretto di Orazio, per goderne i favori ed entrare nell’entourage degli artisti.
In quella satira, che non significa, come pensano gli attuali scribacchini in nome di una presunta libertà di manifestazione del pensiero, licenza di svillaneggiare con prosa vile i governanti e gli avversari politici, ma designava, dall’aggettivo satur, un componimento poetico, di pregio letterario, pieno vario composito, Orazio riuscì a piegare la lingua latina, così austera e grave in Cicerone Virgilio e Cesare, ad una forma agile frizzante e scintillante tipo sceneggiatura cinematografica alla Totò e Peppino.
Non la menziono qui per vanitoso sfoggio di erudizione classica, che qualcuno direbbe “A chi vuoi ammorbare”, ma perché la mi sovviene allorchè, girellando per via del Corso a comprar freselle e morzelletti da Izzo Ciro o zeppole di S. Giuseppe da Sabbatino, spesso mi si azzecca alle costole qualcuno il quale col “signor sindaco” a ccà e a llà e “comme state e non vi ho visto da un po’ di tempo”, al che faccio le corna di nascosto da dentro la sacca del cappotto, piglia ‘a serra a gira’, sarebbe a dire mena il can per l’aia, prima di arrivare al dunque.
Non parte da versi e poesia e letteratura, manco a dirlo, chi volete che oggidì pensi a queste cose per le quali il loro “cervello è morto e sotterrato”, per dirla alla Giusti, ma, ovviamente, dalle obbligatorie lamentazioni quotidiane sul Comune, sulla politica, sulla monnezza, sul traffico, sui vigili, contro i quali prima si lamentano che non fanno niente e poi si lamentano che fanno le multe, con evidente contraddizione, etcetera.
Puntualmente, dopo lunga e tediosa petulanza, vengo a scoprire che lo scocciatore ha sempre un suo particolare e specifico secondo fine, un cane che caca davanti al suo portone, un senso unico che gli dà fastidio, una multa di ZTL che si vorrebbe far togliere, un consiglio legale per una questione dello zio della cognata, ‘na fatica per il figlio disoccupato e così via. Tutte cose per le quali vorrebbe sfruttare la mia amicizia con mecenate.
Come per il povero Orazio rispetto al Mecenate vero, anche io cerco di spiegare al mio scocciatore che egli ha un’idea distorta dei miei rapporti con il mecenate di turno (che fra l’altro tutt’è fuor che mecenate anche perché maneggia denaro non suo, a differenza del Mecenate vero che con i suoi soldi poteva fare quello che voleva) che non si basano su favoritismi e adulazione ma sulla sincerità l’amicizia e l’onestà.
La storiella puntualmente va a finire che, dopo avere lungamente ascoltato e spiegato, non essendo io paziente e beneducato come Orazio, di fronte all’incredulità e all’insistenza del mio scocciatore di turno, lo mando bellamente affanculo.
E poi vanno dicendo che sono scontroso e dico le male parole.
Aldo Di Vito
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