Francesco Di Pace, ex membro della commissione agricoltura negli anni in cui si cercava di ottenere il marchio di origine per il prodotto, parla senza remore del problema “Belgio”
di Pierluigi Faiella
Le parole pronunciate dal Commissario europeo all’agricoltura Phil Hogan dei giorni scorsi sul pomodoro San Marzano hanno scatenato molte reazioni. Il Commissario ha in pratica aperto alla possibilità che il pomodoro San Marzano possa essere coltivato anche fuori dalla zona geografica indicata dal marchio Dop. Tra coloro che hanno risposto alle parole di Hogan ci sono state anche diverse personalità vicine al Consorzio di tutela pomodoro San Marzano dell’Agro Sarnese Nocerino, che hanno difeso l’inscindibile legame tra questa eccellenza italiana e il nostro territorio, bollando come pericolose le aperture del Commissario.
Sulla questione è voluto intervenire anche il professor Francesco Di Pace, autore del libro “Il Pomo d’oro: una sapienza antica” e che è stato anche membro della commissione agricoltura negli anni settanta, periodo durante il quale si attivò perché si recuperasse il vero pomodoro San Marzano, la cui stessa esistenza era stata messa a rischio negli anni sessanta. Di Pace ha voluto sottolineare, senza fare riferimento a nessun nome in particolare, come secondo lui in questa vicenda venga fuori l’ipocrisia di molti, che sostengono di tutelare il prodotto soltanto con le chiacchiere: «Tutela significa rispettare, prendersi cura del prodotto e proteggerlo come se fosse un bambino». Ciò che invece si nota in questo caso secondo Di Pace è soltanto un apparire, un pubblicizzare se stessi ergendosi a paladini del San Marzano davanti a microfoni e giornalisti. Ma questo soltanto quando, come in questo caso, arrivano attacchi o riferimenti al prodotto dall’esterno.
Ma il professor Di Pace non vuole dire che sia sbagliato reagire e difendere quella che è un’eccellenza del nostro territorio; anzi lo si dovrebbe proteggere in modo costante, con assoluto impegno, oltre a dover dare impulso alla sua coltivazione e alla sua lavorazione. «Da quando nel 1996 si riuscì a ottenere il marchio Dop, la produzione è rimasta ferma a venticinquemila quintali, nonostante secondo gli accordi sarebbe dovuta essere incrementata già negli anni immediatamente successivi». Secondo Di Pace, nonostante ci sia stata una giusta alternanza alla presidenza del Consorzio, tra i rappresentanti dei coltivatori e quelli dell’industria conserviera, sullo sfondo hanno sempre agito i soliti personaggi che non hanno fatto altro che cercare di arricchirsi. «Si è voluto privilegiare la quantità. In questo modo si fanno sparire i prodotti di alta qualità soltanto con il fine di aumentare i guadagni», guadagni che però secondo Di Pace non vengono utilizzati per creare una vera industria alimentare, cioè investendo in nuovi macchinari e tecniche di produzione, ma che semplicemente vengono sfruttati per interesse personale, reinvestendoli nella speculazione edilizia. Di pace disegna in pratica un circolo vizioso, dove la cementificazione che deriva da queste pratiche continua a distruggere il nostro territorio, danneggiando quella che è la culla e l’habitat naturale e imprescindibile del pomodoro San Marzano, che pure è un prodotto conosciuto e apprezzato in tutto il mondo.