Continuano in tutta Italia i consensi a “Sotto un cielo di carta”, ultimo libro del giornalista Ansa partito anni fa dalla sua Pagani. «Chi mi legge ama la carta e la libertà»

Sta diventando da un titolo vera e propria realtà: E’ un vero e proprio “cielo di carta” quello che copre la testa di Roberto Ritondale, noto giornalista dell’Agro ora redattore Ansa, ed è fatto da tutta quella consumata per stampare le migliaia di copie vendute della sua ultima fatica editoriale, che appunto porta il titolo “Sotto un cielo di carta“, con i tipi di Leone editore.
Roberto è nato a Pagani il 9 ottobre 1965 e vive a Milano. Ha collaborato alla stesura di sceneggiature per il programma radiofonico La storia in giallo per Rai Radio 3 ed è autore di altri romanzi e racconti. Ritondale definisce il suo libro «Un romanzo per gli amanti della carta e della libertà».

– Scrivere un libro oggi, quando anche l’amico con una conoscenza approssimativa dell’italiano ti chiama e ti dice: “ho scritto un e-book, ti va di leggerlo?”, che sensazioni interiori offre?
«Scrivere – risponde il giornalista Ansa – è spesso un’urgenza interiore: nasce dall’esigenza di interrogarsi, di guardarsi dentro, in qualche modo di capirsi. Che lo facciano in tanti, potrebbe essere addirittura un segnale positivo: vuol dire che cresce la voglia di consapevolezza. Certo, in Italia si scrive troppo e si legge poco. E questa contraddizione sicuramente incide sulla qualità delle pubblicazioni. Però la scrittura è un’arte democratica: permette di sognare a costo zero, e forse di fare a meno di un analista…».
– Il tuo libro, per tua dichiarata ammissione, si ispira allo stile orwelliano, poi meravigliosamente ripreso anche da molti racconti di quella raccolta di capolavori che fu Urania di Mondadori. Riuscirà ad avere un impatto forte con i lettori?
«In realtà “Sotto un cielo di carta” sta riscuotendo consensi che stanno già andando al di là di ogni mia più rosea aspettativa. La scelta di un genere non molto amato in Italia, come quello “distopico”, poteva essere rischiosa. Ma avevo bisogno di una metafora “orwelliana”, di una distopia, per denunciare l’attuale dittatura del web, che tutto controlla e molto manipola. Forse il segreto del buon impatto del libro è nella scelta di una storia di fantascienza in cui però tutto è reale. Non ho voluto inventare niente, proprio per dire che il futuro è già tra noi. Qualcuno ha parlato, a proposito del mio romanzo, di “futurealismo”, ed è un neologismo che mi piace molto».
– Il vero messaggio del racconto?
«Il messaggio è duplice. Il primo è che siamo tutti sotto controllo, quindi è necessario fare un uso più consapevole del web e della tecnologia. Il secondo messaggio è che nessun bene è acquisito per sempre. Anche la democrazia, anche la libertà… sono valori che bisogna saper difendere ogni giorno, anche a costo di sacrificare la propria vita. Un messaggio più attuale che mai in quest’epoca di “terrore”».
– È un lavoro diretto più ai ragazzi o più agli adulti non consapevoli delle potenzialità positive e negative della rete?
«Il libro l’ho scritto pensando a quei ragazzi che hanno sempre meno dimestichezza con la carta. Non è un caso che sia vietata la vendita in e-book di “Sotto un cielo di carta”. E non a caso ho voluto scegliere una prosa semplice, seguendo l’esempio degli scrittori sudamericani. Però mi sembra che il romanzo stia piacendo molto anche agli adulti, che apprezzano molto quella traccia densa di sentimenti, di amore e di amicizia che c’è nel libro. Tanti amici mi scrivono che i loro figli stanno leggendo il mio romanzo, che sembra davvero capace di unire generazioni diverse. Insomma, credo proprio che… “sotto un cielo di carta” ci sia posto per tutti».

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