«Erano gli anni cinquanta e non c’erano che piccoli sogni da esaudire e già il ricevere una bambola come la mia Pupetta era un lusso che poche bambine potevano permettersi»
di Carla D’Alessandro
Sto attraversando il viale dei miei ricordi lontani e in questa solitudine astratta mi sembra di sentire le lievi entità di mia madre e mio padre.
Sembra strano ma a volte il fruscio dei loro passi mi segue nello spazio di questo tempo terreno. Un altro Natale sta arrivando e ripenso a Natali diversi, alle attese di bimbo che aspetta con occhi spalancati la nascita del Bambinello, portato in processione per casa e adagiato con dolcezza nella mangiatoia tra Maria e Giuseppe.
Alla piccola processione partecipa con me, mamma e il mio piccolino. Lui, l’ultimo di casa, cantando “Tu scendi dalle stelle” porta il caro Bambino al suo giaciglio di paglia.
In cucina, dopo io e mamma impastiamo la semola e prepariamo i tagliolini per il giorno di festa. Non ci fermiamo qui, insieme amalgamiamo la farina e tagliamo pezzetti per friggere gli struffoli, girati nel miele e spolverati di diavolini colorati. Il mio bambino è carico di gioia e le sue promesse sono a mille in un paradiso di angeli. Babbo Natale i doni li porta nella notte, vicino al letto dell’ignaro pargolo, il quale trova i suoi desideri esauditi, nel Santo Natale. Io ripenso alla mia infanzia, alle mie bambole di carta pesta: Pupetta e Carlotta, che ancora dritta mi guarda nel suo bel vestitino a quadretti rossi, a quel passeggino rosa col quale portavo a passeggio Pupetta nel corridoio della vecchia casa dalla veranda fredda.
Erano gli anni cinquanta e non c’erano che piccoli sogni da esaudire e già il ricevere una bambola come la mia Pupetta era un lusso che poche bambine potevano permettersi. Oggi lo capisco, ero una bambina fortunata! Sì, io avevo una mamma e un papà, giovani e belli. La mia mamma era elegantissima in quel suo cappotto nero e rosso dal collo sciallato, il cappellino di feltro rosso alla Grace Kelly e le scarpe rosse con la borsetta abbinata. Lei dava il braccio a mio padre alto, magro e stretto in un lungo cappotto grigio, il cappello Borsalino in testa su un viso bello dagli occhi castani e le labbra carnose. Mi prendevano per mano e andavamo ad ascoltare la Messa di Natale alla chiesa di San Matteo. Ero piccola ma questa immagine è racchiusa nel mio cuore! Si tornava a casa, si consumava il pranzo e prendevamo il treno per Salerno, dove ci aspettava nonna Emilia. Calda e avvolgente, con le sue scarpe di pezza, nonna mi portava in giro per la Città, passando per lo Stadio Vestuti fino alla pasticceria Marino. Le vetrine erano piene di vassoi con dolci e panettoni ma io amavo i personaggi di zucchero bianco, specialmente le pecorelle e i Bambinelli. Mia nonna sapeva questa mia debolezza e mi comprava sempre quelle pecorelle e il Bambinello. Anche ora quando mi fermo durante le feste dinanzi alle vetrine di una pasticceria cerco di ritrovare quelle figurine di zucchero, che mio marito quando le riesce a trovare, mi compra. La vigilia di Natale di quegli anni, mio padre comprava l’albero vero dal fioraio Franco, vicino San Matteo, faceva il presepe di legno sulla cassa della biancheria di mia madre ed io mettevo i pastori: Beniamino, che dormiva, il macellaio, il melonaio, re Erode e i suoi soldati, i re Magi sui cammelli, Maria e Giuseppe, nella grotta. Andavamo in un negozio al Corso di giù e compravamo un pastorello di creta e una pallina di vetro colorato. Quel negozio, per me era fantastico con tutte quelle palline colorate, i fili argentati e i giocattoli da guardare. Come ogni anno alla vigilia di Natale nonna Lillina, piccola e magra con i tacchi e il soprabito marrone, si partiva da casa sua a Capocasale e veniva a portarci caldo, caldo il capitone avvolto in un grande fazzoletto blu e bianco con i tagliolini di semola messi, delicatamente, in una scatola quadrata di biscotti. Nella luce Natalizia degli anni settanta baciai un tenero ragazzo dagli occhi verdi e negli anni ottanta, giovani sposi, in una fredda sera di dicembre comprammo una grotta spaziale con la quale attendemmo la nascita di Gesù. Dopo un lustro, il Natale più bello, aspettavo il mio bambino! Era il dono più grande che potessi ricevere in quel Natale tutto speciale, nel quale l’attesa della mia creatura si fuse con la gioia per la nascita di quel Dio, il quale nascendo da Maria si faceva umano in un inerme Bambino, gioia del mondo, nell’umile grotta di Betlemme.