Intervista ad Alberto Cristofori, scrittore, traduttore ed editor della Bompiani: «Mi piacerebbe poter dire che la qualità paga e quindi bisogna perseguirla sempre e comunque, e tuttavia non ne sono sicuro»
di Pierangelo Consoli
Raramente si ha la possibilità, per quanto concerne i fenomeni culturali, di osservare un evento mentre si sta compiendo. La possibile fusione di cui si parla da quasi un anno, tra i due più grandi colossi editoriali italiani, Mondadori e RCS, attende solo il parere favorevole dell’antitrust. E’ notizia di questi giorni che Elisabetta Sgarbi (nella foto), ormai ex direttore editoriale di Bompiani, abbia rassegnato le sue dimissioni, insieme ad Eugenio Lio e ad alcuni scrittori, tra cui Umberto Eco, Sandro Veronesi, Furio Colombo, che hanno a loro volta rescisso i contratti per fondare una nuova casa editrice indipendente, “La nave di Teseo“.
Cosa accadrà adesso? Lo abbiamo chiesto ad Alberto Cristofori (nella foto di apertura), autore, per Bompiani, del romanzo “Ultimo viaggio di Odoardo Bevilacqua”, vincitore della XXXIII edizione del premio Comisso, traduttore ed editor per la stessa casa editrice, nonché anima del recente e fortunato progetto “Milano per Dante”
– Si parla molto della possibile, o forse persino imminente, fusione tra Mondadori ed RCS, che idea si è fatto?
«In verità, pur essendo collaboratore di entrambe le case editrici, so soltanto quello che si legge sui giornali. Posso aggiungere che l’atmosfera che si respira tra chi lavora nell’ambiente è di grande preoccupazione: si è parlato molto di questioni finanziarie, di antitrust e di riduzione dell’offerta culturale, mi pare che si sia largamente trascurato l’aspetto occupazionale (e parlo non solo dei dipendenti, ma dei collaboratori esterni, che sono centinaia e centinaia di persone sostanzialmente prive di tutela)».
– Se l’antitrust dovesse dare parere favorevole, come crede che potrebbe cambiare lo scenario editoriale nazionale?
«Se per scenario editoriale si intendono le pubblicazioni, credo che cambierà ben poco. Mi spiace essere così in controtendenza, ma sono davvero convinto che i lettori quasi non si accorgeranno della fusione. Forse si ridurrà un po’ il numero di titoli, forse qualche autore cambierà scuderia… Ma certo i marchi resteranno tutti, più o meno con la loro autonomia attuale.
Le cose davvero importanti in parte sono già accadute, a fari quasi spenti, con la concentrazione della distribuzione, e in parte riguarderanno altri aspetti commerciali. Sono cose che non colpiscono l’attenzione del pubblico, ma sono molto più importanti della decisione di pubblicare questo o quel libro con questo o quel marchio».
– Non crede che vi sia un pericolo dal punto di vista non solo dell’offerta editoriale, ma anche dell’informazione?
«Mi sembra di capire che l’accordo riguarda solo i libri. Piuttosto, non ho sentito nessuna voce levarsi a parlare dei manuali scolastici, che sono un settore ancora più delicato. Io non credo che ci saranno pressioni o censure sui romanzieri, ma pensiamo a cosa potrebbe succedere se un domani, con una quota di mercato nettamente predominante, il gruppo stabilisse “linee guida” pericolosamente ideologiche riguardo ai manuali di storia o di filosofia o di italiano.
È un rischio molto teorico, al momento: a dispetto del sindaco di Venezia e di altri aspiranti censori non penso che ciò avverrà, però è curioso che nessuno si preoccupi degli adolescenti. O forse mi è sfuggito».
– Per quanto riguarda i premi letterari più prestigiosi, penso per esempio allo Strega, non crede che un colosso così imponente possa condizionare le scelte dei giurati?
«Perché adesso, invece, le scelte dei giurati sono libere e indipendenti? Qualcuno le ha detto che i grandi premi letterari sarebbero modelli di limpidezza e di onestà intellettuale? Sono curioso, ho sempre sognato di conoscere Biancaneve…»
– Ultima domanda: Qual è lo stato di salute dell’editoria italiana? Cosa si potrebbe fare per migliorarla?
«Lei mi attribuisce competenze addirittura sovrumane! Se ricorda Uccellacci e uccellini, Mao alla domanda “Dove va il mondo?” risponde “Boh”!
Da dove veniamo, viceversa, lo sappiamo benissimo: se non guardiamo solo il breve periodo, veniamo da un mondo (o da un’Italia, non allarghiamoci troppo…) in cui si leggeva meno, molto meno. Quindi, non piangiamoci addosso.
C’è un momento di difficoltà, senza dubbio, in alcuni settori, ma lo stato di salute generale dell’editoria italiana dipende dai parametri che usiamo per misurarlo. Il settore bambini e ragazzi, per esempio, è in crescita. È un segnale incoraggiante? Forse sì. Ma da un altro punto di vista vuol dire che più si va a scuola e meno si ha voglia di leggere? Aiuto!
Per quanto riguarda il “che fare”… Mi piacerebbe poter dire che la qualità paga e quindi bisogna perseguirla sempre e comunque, e tuttavia non ne sono sicuro, purtroppo mi vengono in mente degli esempi che smentiscono questa bella tesi e non voglio chiudere con una frase che sarebbe retorica. No, non credo di avere ricette universali, posso dirle al massimo quello che faccio io, il significato che attribuisco io al mio lavoro… ma un’altra volta».