In Albania adesso ci sono delle condizioni economiche molto favorevoli perché è un paese in via di sviluppo, con investimenti molto mirati come quelli nell’energia
 
di Pierangelo Consoli  

«Essere clandestino significa essere una persona che perde la propria capacità di interagire con il mondo esterno. Ti vengono negati i diritti più elementari, solo perché sei arrivato in un paese per modificare la tua vita. Nei centri non esistono possibilità, perché  vivi quotidianamente nella routine».

– Che tipo di routine?
«Lì non fai niente, non hai modo di uscire, studiare, sei parcheggiato lì dentro e basta».
Alban Hila è arrivato in Italia nel 1998 a bordo di un gommone. Aveva 16 anni, era solo un ragazzino. Si è laureato a Napoli e adesso lavora nel sociale, come educatore, nei quartieri disagiati della città. Si è sposato con una cittadina italiana.
– Sei venuto con la tua famiglia?
«Sono partito da solo, perché volevo studiare, ma la mia famiglia mi è stata sempre molto vicina, affettivamente».
 -Qual era la situazione in Albania, nel 1998?
«In quel periodo l’Albania viveva un periodo molto difficile perché erano gli anni delle “finanziarie” cioè aziende che prendevano in prestito soldi dalla popolazione e promettevano il triplo quando restituivano. Ma ad un certo punto questo gioco non ha più funzionato e la popolazione perse i risparmi di una vita. Allora ci fu una specie di guerra civile con la distruzione dei depositi militari e di quasi tutto l’apparato statale. Ecco io sono venuto in questo periodo».
– Come ti sembrava l’Italia allora?
«L’Italia si conosceva tramite due modi: uno era quello del racconto diretto di chi era già clandestino; e l’atro erano i mezzi d’informazione, specialmente la televisione. Certamente era meglio di quello che vivevo in Albania e in più era molto vicina alle coste, quindi facilmente raggiungibile».
– Quando sei arrivato qual è stato l’impatto con il nostro paese? Ti ha deluso?
«Un impatto molto difficile, perché ero clandestino e quindi bisognava affrontare il tutto nell’ombra. A 200 metri dalla costa ti buttano in mare e una volta arrivato a terra devi scappare e non sai dove andare, bisogna raggiungere la stazione ferroviaria più vicina in tutti i modi. E’ una vita molto complicata, e l’unico modo per riemergere diventa il lavoro. Un lavoro condizionato perché sei clandestino e quindi facilmente ricattabile. Vieni sfruttato con condizioni di lavoro terribili».
– Perché gli albanesi hanno smesso di venire in Italia?
«Gli albanesi in questo momento non è che hanno smesso di venire, semplicemente sono cambiate una serie di condizioni. Gli albanesi non entrano più da clandestini e quindi non vediamo più i gommoni. In Albania adesso ci sono delle condizioni economiche molto favorevoli perché è un paese in via di sviluppo, con investimenti molto mirati come quelli nell’energia che stano favorendo una crescita sia delle condizioni di vita, che dell’economia.”
– Quindi potremmo dire che se venisse facilitato un processo di sviluppo economico, e non ci fossero le guerre, non avremmo più un’emergenza migranti?
«No, sono sicuro di no».

Di Gigi Di Mauro

Giornalista con esperienza quasi quarantennale, è educatore e pedagogista clinico. Da oltre un ventennio si dedica allo studio della storia comparata delle religioni, ottenendo nel 2014 dal Senato accademico dell'MLDC Institute di Miami una laurea Honoris Causa in studi biblici. È autore di alcuni saggi, tra i quali uno sulle bugie di storia e religione

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