Attenti a coltivare amicizie particolari sulla rete: non è necessario che vi sia anche una relazione fisica per giustificare la fine del matrimonio con addebito

Tradire sul web pare sia quasi diventata “una moda”, se si considera il crescente dilagare del fenomeno. Tutto dipende dal fatto che, nella vita reale, il rapporto tra i coniugi non è sempre coronato da vicinanza e comprensione reciproca.
Invero, sui social network ed in particolare mediante facebook si conoscono e si ritrovano vecchie amicizie e un po’ per noia e un po’ per curiosità, o per sfuggire alla routine di coppia, si arriva a chattare assiduamente con qualcuno fino a quando non si crea una vera e propria relazione.

L’incontro virtuale può quindi rivelarsi ben più pericoloso e insidioso di un incontro reale, perché l’unione non è fisica, ma basata su scambi profondi di sensazioni, emozioni, intimità. Ma il cosiddetto tradimento virtuale è un vero e proprio tradimento?

Ebbene, secondo la dottrina prevalente, con l’evolversi della realtà sociale, il concetto di fedeltà deve essere inteso in senso ampio, impegnando i coniugi a non tradire la fiducia reciproca sia fisicamente che spiritualmente. 
In quest’ottica, la fedeltà non si riduce esclusivamente al tradimento sessuale, ma si estende fino a comprendere il dovere della tutela e del rispetto della sensibilità e della dignità dell’altro coniuge.
Questo dovere risulta incompatibile anche con quei comportamenti mortificanti (tra cui, appunto, le conversazioni in rete intrattenute con amanti “virtuali)” che, anche se non si risolvono in un effettivo contatto fisico, sono in grado far nascere il dubbio, nel partner e nell’ambiente sociale in cui vive, dell’avvenuta violazione della fedeltà.
Il fatto di esporre il coniuge a quella che può risultare a tutti gli effetti un’umiliazione pubblica significa venire meno a tale obbligo e potersi ritenere responsabile concretamente della fine del matrimonio.

Dello stesso parere è la giurisprudenza che, pur non parlando esplicitamente di adulterio online ma di tradimento platonico, ha stabilito che, nei casi di addebito della separazione, l’adulterio apparente vada considerato alla pari con quello autentico (sentenza della Cassazione 9472/1999).
Ad esempio, il Tribunale di Caltanissetta, (sentenza 1018/2013), richiamando l’orientamento della Suprema Corte, ha addebitato la separazione al marito, “reo” di aver scambiato sms amorosi con un’altra donna, confermando che non è necessario un tradimento fisico affinché si possa parlare di adulterio.
Infatti, anche lo scambio di messaggi a contenuto affettuoso è sufficiente a dimostrare che vi sia stata una forma di infedeltà nei riguardi del coniuge. Va però menzionata una recente pronuncia con la quale la Corte di Cassazione ha precisato che una relazione tramite web, in mancanza di incontri fisici, non sarebbe di per sé idonea a provocare l’intollerabilità della convivenza.
L’addebito della separazione potrà invece essere riconosciuto quando tale relazione abbia causato il forte sospetto di infedeltà nel coniuge o nei terzi, arrecando un pregiudizio alla dignità personale del consorte (sent. Cass. Civ. 8929/2013).
In definitiva, a prescindere da un effettivo rapporto sessuale consumato con l’amante, il coniuge che avvii un rapporto platonico su internet potrebbe rendersi responsabile della separazione. Naturalmente, così come accade nell’ipotesi di adulterio “reale”, nella valutazione dell’addebito, il Tribunale sarà comunque chiamato ad accertare che questa violazione della fiducia abbia effettivamente incrinato il rapporto coniugale, determinandone la crisi.

avv. Anna Canzolino

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Di Gigi Di Mauro

Giornalista con esperienza quasi quarantennale, è educatore e pedagogista clinico. Da oltre un ventennio si dedica allo studio della storia comparata delle religioni, ottenendo nel 2014 dal Senato accademico dell'MLDC Institute di Miami una laurea Honoris Causa in studi biblici. È autore di alcuni saggi, tra i quali uno sulle bugie di storia e religione

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