Non tutti sanno che Giuseppe Garibaldi (Nizza, 4 luglio 1807 – Caprera, 2 giugno 1882) fu massone di 33º grado del Grande Oriente d'Italia, e che ricoprì anche la carica di Gran Maestro della Massoneria italiana

La conquista del Regno delle due Sicilie fu una missione studiata a tavolino dalle massonerie internazionali, che la sorressero con intrighi politici, contributi militari e cospicui finanziamenti con i quali furono comprati uomini chiave dell’esercito borbonico

di Angelo Forgione
un grazie per la cortese licenza alla testata Napoli.com
e al suo direttore responsabile Sergio Civita

La spedizione garibaldina, per la storiografia ufficiale, ha il sapore di un’avventura epica quasi cinematografica, compiuta da soli mille uomini che salpano all’improvviso da nord e sbarcano a sud, combattono valorosamente e vincono più volte contro un esercito molto più numeroso, poi risalgono la penisola fino a giungere a Napoli, Capitale di un regno liberato da una tirannide oppressiva, e poi più su per dare agli italiani la nazione unita.

Troppo hollywoodiano per essere vero, e difatti non lo è. La spedizione non fu per niente improvvisa e spontanea ma ben architettata, studiata a tavolino nei minimi dettagli e pianificata dalle massonerie internazionali, quella britannica in testa, che sorressero il tutto con intrighi politici, contributi militari e cospicui finanziamenti coi quali furono comprati diversi uomini chiave dell’esercito borbonico al fine di spianare la strada a Garibaldi che agli inglesi non mancherà mai di dichiarare la sua gratitudine e amicizia.
I giornali dell’epoca, ma soprattutto gli archivi di Londra, Vienna, Roma, Torino e Milano e, naturalmente, Napoli forniscono documentazione utile a ricostruire il vero scenario di congiura internazionale che spazzò via il Regno delle Due Sicilie non certo per mano di mille prodi alla ventura animati da un ideale unitario.
Il Regno britannico, con la sua politica imperiale espansionistica che tanti danni ha fatto nel mondo e di cui ancora oggi se ne pagano le conseguenze (vedi conflitto israelo-palestinese), ebbe più di una ragione per promuovere la fine di quello napoletano e liberarsi di un soggetto politico-economico divenuto scomodo concorrente.
Innanzitutto furono i sempre più idilliaci rapporti tra il Regno delle Due Sicilie e lo Stato Pontificio a generare l’astio di Londra. La massoneria inglese aveva come priorità politica la cancellazione delle monarchie cattoliche e la cattolica Napoli era ormai invisa alla protestante e massonica Londra che mirava alla cancellazione del potere papale. I Borbone costituivano principale ostacolo a questo obiettivo che coincideva con quello dei Savoia, anch’essi massoni, di impossessarsi dei fruttuosi possedimenti della Chiesa per risollevare le proprie casse. Massoni erano i politici britannici Lord Palmerston, primo ministro britannico, e Lord Gladstone, gran denigratore dei Borbone. E massoni erano pure Vittorio Emanuele II, Garibaldi e Cavour.

La massoneria inglese voleva eliminare le monarchie cattoliche, ed i sempre migliori rapporti da Borboni e Stato Vaticano erano decisamente invisi

In questo conflittuale scenario di potentati, la nazione Napoletana percorreva di suo una crescita esponenziale ed era già la terza potenza europea per sviluppo industriale come designato all’Esposizione Internazionale di Parigi del 1856. Un risultato frutto anche della politica di Ferdinando II che portò avanti una politica di sviluppo autonomo atto a spezzare le catene delle dipendenze straniere.
La flotta navale delle Due Sicilie costituiva poi un pericolo per la grande potenza navale inglese anche e soprattutto in funzione dell’apertura dei traffici con l’oriente nel Canale di Suez i cui scavi cominciarono proprio nel 1859, alla vigilia dell’avventura garibaldina.
L’integrazione del sistema marittimo con quello ferroviario, con la costruzione delle ferrovie nel meridione con cui le merci potessero viaggiare anche su ferro, insieme alla posizione d’assoluto vantaggio del Regno delle Due Sicilie nel Mediterraneo rispetto alla più lontana Gran Bretagna, fu motivo di timore per Londra che già non aveva tollerato gli accordi commerciali tra le Due Sicilie e l’Impero Russo grazie ai quali la flotta sovietica aveva navigato serenamente nel Mediterraneo, avendo come basi d’appoggio proprio i porti delle Due Sicilie.
Proprio il controllo del Mediterraneo era una priorità per la “perfida Albione” che si era impossessata di Gibilterra e poi di Malta, e mirava ad avere il controllo della stessa Sicilia quale punto più strategico per gli accadimenti nel mediterraneo e in oriente. L’isola costituiva la sicurezza per l’indipendenza Napolitana e in mano agli stranieri ne avrebbe decretata certamente la fine, come fece notare Giovanni Aceto nel suo scritto “De la Sicilie et de ses rapports avec l’Angleterre”.
La presenza inglese in Sicilia era già ingombrante e imponeva coi cannoni a Napoli il remunerativo monopolio dello zolfo di cui l’isola era ricca per i quattro quinti della produzione mondiale; con lo zolfo, all’epoca, si produceva di tutto ed era una sorta di petrolio per quel mondo. E come per il petrolio oggi nei paesi mediorientali, così allora la Sicilia destava il grande interesse dei governi imperialisti.
I Borbone, in questo scenario, ebbero la colpa di non fare tesoro della lezione della Rivoluzione Francese, di quella Napoletana del 1799 e di quelle a seguire, di considerarsi insovvertibili in Italia e di non capire che il pericolo non era da individuare nella penisola ma più in la, che nemico era alle porte, anzi, proprio in casa. Il Regno di Napoli e quello d’Inghilterra erano infatti alleati solo mezzo secolo prima, ma in condizione di sfruttamento a favore del secondo per via dei considerevoli vantaggi commerciali che ne traeva in territorio duosiciliano. Fu l’opera di affrancamento e di progressiva riduzione di tali vantaggi da parte di Ferdinando II a rompere l’equilibrio e a suscitare le cospirazioni della Gran Bretagna che si rivelò così un vero e proprio cavallo di Troia. Per questo fu più comodo per gli inglesi “cambiare” l’amicizia ormai inimicizia con lo stato borbonico con un nuovo stato savoiardo alleato.
Questi furono i motivi principali che portarono l’Inghilterra a stravolgere gli equilibri della penisola italiana, propagandando idee sul nazionalismo dei popoli e denigrando i governi di Russia, Due Sicilie e Austria. La mente britannica armò il braccio piemontese per il quale il problema urgente era quello di evitare la bancarotta di stampo bellico accettando l’opportunità offertagli di invadere le Due Sicilie e portarne a casa il tesoro.
Un titolo sul “Times” dell’epoca, pubblicato già prima della morte di Ferdinando II, è foriero di ciò che sta per accadere e spiega l’interesse imperialistico inglese nelle vicende italiane. “Austria e Francia hanno un piede in Italia, e l’Inghilterra vuole entrarvi essa pure”.
Lo sbarco a Marsala e l’invasione del Regno delle Due Sicilie sono a tutti gli effetti un “gravissimo atto di pirateria internazionale”, compiuto ignorando tutte le norme di Diritto Internazionale, prima fra tutte quella che garantisce il diritto all’autodeterminazione dei popoli. Il fatto che nessuna nazione straniera abbia mosso un dito mentre avveniva e si sviluppava fa capire quale sia stata la predeterminazione di un atto così grave.

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