Con la svalutazione di oltre il 4% della moneta cinese rispetto al dollaro, i dirigenti di Pechino inviano nuovi, contrastanti messaggi, facendo intendere che punteranno nuovamente sulla crescita delle vendite dei loro prodotti all’estero

Le autorità centrali della Cina negli ultimi tempi avevano fatto intendere che avrebbero compensato i minori introiti derivanti dalle esportazioni in flessione, mediante aumento dei consumi interni, anche a seguito del progressivo miglioramento del reddito medio dei cinesi.
Con questa mossa fulminea ed inattesa e cioè con la svalutazione di circa il 4% dello yuan-renminbi (moneta cinese) rispetto al dollaro, i dirigenti di Pechino inviano nuovi, contrastanti messaggi, facendo intendere che punteranno nuovamente e primariamente sulla crescita delle vendite di prodotti cinesi all’estero.
Il rapporto tra la valuta di riferimento cinese e quella degli USA è passata da 6,20 a 6,45 yuan-renminbi per un dollaro, immediatamente dopo la svalutazione di cui si discute.

Questo riposizionamento strategico delle autorità monetarie cinesi spiazza gli operatori della politica e della finanza mondiali.
L’attenzione, al momento, era concentrata sugli interventi relativi ai tassi d’interesse (in possibile ascesa) più volte annunciati dalla Federal Reserve (FED) americana e sulla manovra in atto di “quantitative easing” della Banca Centrale Europea (BCE).
In pratica quest’ultima consiste nella stampa di 60 miliardi di euro al mese e contemporaneo acquisto di titoli di Stato europei, con corrispondente aumento della liquidità complessiva in circolazione.
Parte di questa liquidità viene riversata sulla borsa valori di Wall Street (USA), favorendone le alte quotazioni.
A tal proposito, non è eccessivo parlare di stravolgimento delle normali regole di mercato e di tassi d’interesse correnti falsati, in quanto non corrispondenti alle effettive dinamiche del mercato reale.
Oggi le guerre si combattono essenzialmente manovrando i rapporti di cambio delle principali monete in circolazione nel mondo e, conseguentemente, i tassi d’interesse di riferimento.
Gli Stati Uniti, come sempre, hanno sparato in anticipo le bordate più consistenti, stampando negli ultimi 10/15 anni dollari a tonnellate che i cinesi, in particolare, non vogliono più assorbire e custodire (per molto tempo) nei forzieri della propria Banca centrale.
I mercati finanziari e quelli delle materie prime (oro, argento, rame, petrolio, gas, ecc.) sono scossi e stanno riposizionandosi di conseguenza.
Va ricordato che il 15 agosto 1971 è stato il giorno a partire dal quale la politica monetaria degli Stati Uniti ha cambiato perentoriamente registro, con la decisione annunciata dal Presidente Nixon di troncare lo stretto rapporto tra dollaro e quantità di oro dallo stesso rappresentata. Nell’occasione, di fatto, fu annunciata al mondo la inconvertibilità del dollaro in oro, facendo così cadere una delle fondamenta del “Sistema di Bretton Woods” ed azzerando il meccanismo monetario internazionale riconosciuto come “Gold Exchange Standard”.
Nel 1944, infatti, con l’accordo di Bretton Woods, che registrò tra l’altro la nascita del Fondo Monetario Internazionale (FMI), fu stabilito il prezzo dell’oro a 35 dollari per oncia. Tutti i Paesi partecipanti furono obbligati a versare al FMI una quota di oro e di monete nazionali dichiarando la parità tra le proprie monete con l’oro e, indirettamente, con il dollaro.
Nel 1973, con il dollaro non più convertibile in oro, i governi dell’Europa si accordarono con gli USA per l’abolizione del mercato “istituzionale” del metallo giallo, decidendo in pratica la definitiva cancellazione della parità del dollaro rispetto all’oro e, di conseguenza, la parità tra dollaro e monete europee.
Si prospetta all’orizzonte un nuovo accordo internazionale di “Bretton Woods”, magari di “Port Said o Suez (Egitto)” in onore ed in occasione del raddoppio dell’omonimo canale, con la presenza questa volta di nuovi, potenti e determinanti Paesi (Cina, Russia, India, Brasile, ecc.) per una “aggiornata” disciplina monetaria mondiale.
Al centro dell’attenzione e delle conseguenti determinazioni non vi sarà il dollaro quale moneta di riferimento in esclusiva, come nel 1944, ma si imporrà il nuovo grande arrivato e cioè lo yuan-renminbi cinese. Il sistema monetario internazionale ed i meccanismi di regolazione degli scambi a livello mondiale poggeranno su altri pilastri, tutti ancora da definire.
Non va sottaciuto che l’entrata in scena dell’euro, quindici anni orsono, al servizio di circa 350 milioni di abitanti, pur con le innegabili contraddizioni ed i suoi punti di debolezza, ha rappresentato e rappresenta un “esperimento realizzato” di grande portata innovativa in campo monetario.
Euro, yuan-renminbi, in uno al “vecchio, abusato dollaro” sono elementi non eludibili nella costruzione del futuro sistema monetario a dimensione planetaria.
Probabilmente sarà opportuno adottare parametri di riferimento, quali oro, petrolio, gas, cifra del commercio internazionale e ricchezza prodotta (PIL) nei vari Paesi aderenti al “nuovo sistema”, come grandezze singole o assemblate assieme in un apposito paniere dedicato, per l’aggancio più o meno elastico tra le varie monete interessate.
E’ opportuno ed auspicabile che l’importante “dossier monetario” venga promosso ed elaborato con accordo meditato e sottoscritto dalla totalità dei Paesi partecipanti, tutti in forte “riposizionamento” ed alla ricerca spasmodica di credibili assestamenti complessivi.

Sàntolo Cannavale
www.santolocannavale.it

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