Un ricordo doloroso di una catastrofe evitabile, che può sempre replicarsi anche ora
di Annamaria Barbato Ricci
Opinionista di Società
Non capivo, ieri, perché avessi il cuore così pesante. Perché, malgrado fosse anche una giornata quasi estiva, non riuscivo a sentirmi lieve e entusiasta di avere il privilegio di fare il lavoro che amo, consapevolezza che così tante volte mi ha aiutato a risollevarmi nei momenti bui. E’ stata la data sul calendario, apparsami sul display del telefonino, ad illuminarmi. Ieri era il 5 maggio. Il mio inconscio era stato più veloce della mia memoria.
Di colpo, mi son ritrovata risucchiata in un giorno dolorosissimo, che non pensavo di dover vivere (o vivere di nuovo, perché il grande spavento del terremoto del 23 novembre 1980 ha lasciato in me una traccia altrettanto indelebile).
Era il 6 maggio 1998. Lavoravo per il Governo, all’epoca -era il primo Governo Prodi- e le notizie arrivarono veloci; insieme ad esse, le telefonate da casa mi avvertivano che lì, nell’Agro Sarnese Nocerino, la situazione era tragica; una pioggia battente, ininterrotta, stava squassando la zona. Si seppe dopo che, in 72 ore, erano caduti 260 mm di pioggia. La situazione era particolarmente tragica a Sarno (e, poi, scoprii dopo, a Siano, Bracigliano, per la provincia di Salerno; a Quindici, paese dell’Avellinese ed a San Felice a Cancello, nel Casertano).
La nostra amica Annamaria Barbato Ricci ha pubblicato oggi su “L’Indro” il suo personale ricordo della frana del 5 maggio 1998. E, su suo desiderio di esser presente anche con questo amarcord anche nella sua città d’origine, ci ha chiesto di pubblicarlo sulla nostra testata. La ringrazio del privilegio e con vero piacere le offro questo spazio. Gigi Di Mauro |
Strade interrotte e un boato nella notte, lassù ad Episcopio, segnalò che circa 2milioni di metri cubi di fango erano piombati sulla frazione, travolgendo l’Ospedale ‘Villa Malta’, i sanitari e i malati non evacuati.
Diciassette anni dopo, quando Legambiente segnala che ancora non è cambiato nulla a Sarno, in materia di sicurezza, sento il dovere morale di ricordare quei giorni, quell’angoscia, la percezione del disastro.
E, fra i 137 morti della città a pochi chilometri dalla mia, ne ho uno nel cuore e mi sento molto egoista e stupida nel fare questa parzialità, ma con Maurizio Marino, medico presso l’Ospedale di Sarno i fili dell’infanzia, dell’adolescenza e dell’età adulta si erano intrecciati e non posso districarmene. Anche per Maurizio ho spesso ripetuto il mantra: perché tu, e non io? Tu, così generoso, utile alla comunità col tuo lavoro di medico, che accarezzasti persino l’idea di andare a lavorare volontario in Africa. Tu con tre figli piccolini, l’ultimo addirittura piccolissimo; tu, con una moglie meravigliosa ed eroica, che ha saputo portare il fardello e crescerli questi ragazzi, facendo loro da padre, oltre che da madre? Maurizio, animatore delle associazioni di volontariato, delle iniziative parrocchiali era una persona che faceva parte della mia vita e del mio orizzonte da quando eravamo piccini. Nocera Inferiore non è New York e le vecchie famiglie, quelle dei Pilgrim Fathers, per così dire, fra loro si conoscono tutte: la mamma di Maurizio era stata compagna di scuola della mia; gli zii erano amici dei miei; e poi, con la moglie Rosetta c’era stata una frequentazione ancora più stretta, essendo la sorella ‘piccola’ di un’amica di classe dalla prima elementare in poi. Eravamo tutti un’unica covata, si può dire, ed ancora oggi, quando sono a Nocera e non manco mai di andare al Cimitero, la tomba di Maurizio è tappa fissa, come andare da un fratello. Lo trovarono, travolto dal fango, mentre col suo corpo tentava -inutilmente- di proteggere un bimbo ricoverato. Ricordo ancora il mio ritorno a Nocera per il suo funerale, un viaggio allucinante a ripetere dentro di me: «Forse non è vero; forse si sono sbagliati». Sapevo benissimo che non era così; solo, non lo accettavo, perché ci sono terribili realtà ancora più inaccettabili di altre.
Da allora, saranno accadute chissà quante altre catastrofi, anche non lontane da me, come il terremoto de’ L’Aquila, che persino a Roma allungò l’eco della sua scossa ferale ed ebbi subito la netta percezione che quel sommovimento era foriero di chissà quale disastro. La frana di Sarno, però, ha per me il volto di Maurizio, mi consuma l’incapacità di comprendere perché -al di là degli strascichi giudiziari che, probabilmente, non hanno raggiunto i veri colpevoli- non fossero stati evacuati in tempo e avessero dovuto immolare la loro vita, sei persone fra personale medico e paramedico, nonché gli ammalati che ebbero la sorte nefasta di essere in quell’Ospedale. O le persone che furono travolte da quel muro di fango, frutto di secoli di incuria, di mancanza di opere idriche o di contenimento, oppure, di edificazione illecita e di carenza di manutenzione e pulizia dei cosiddetti Regi Lagni, opera voluta dai re Borbone proprio per preservare l’area da fenomeni alluvionali, replicatisi nei secoli.
Vi chiedo, per favore, di unire il vostro pensiero al mio, nel ricordo delle povere vittime di questa tragedia più che annunciata, sempre paventata da chi se ne intendesse un po’ di idrogeologia.
E nulla è cambiato, perché non è stata fatta nessuna vera opera di manutenzione e di nuova canalizzazione sufficienti per prevenire il ripetersi dell’accaduto. Ciò che ha salvato la zona dal rinnovarsi del disastro è semplicemente il caso, ovvero la non convergenza di quei fattori negativi che, invece, la notte fra il 5 e il 6 maggio 1998, strinsero le aree alluvionate in un assedio senza scampo.
Molte volte, negli anni successivi, son scattati gli allarmi rossi, atti a segnalare il rischio di frane e alluvioni, specialmente a Sarno. Si è sempre andati avanti camminando sull’orlo del baratro. Ma è questa politica responsabile; amministrazione onesta della res publica? Se ricordo la lista dei rimborsi che hanno fatto incriminare per le loro ruberie un bel po’ di consiglieri regionali della Campania, mi viene la nausea. Oggi, con le elezioni alle porte, si è di nuovo aperta la sfida fra i candidati Presidenti della Regione. Credete che nel programma di qualcuno di essi figuri almeno un cenno ad azioni di governo regionale per prevenire il disastro idrogeologico e la messa in sicurezza dei territori? Indovinato! Non ce n’è un rigo.