L’opera – quasi avulsa dal normale filone di Santanelli – ha portato in scena l’orrore di una Napoli di fine ‘700 sconvolta dalla miseria e dalla rivoluzione giacobina in un contesto inquadrato nel teatro dell’assurdo e del grottesco

di Maria Giovanna Ruggiero

Esordio positivo per la rassegna “Di Segnato Tempo” che il Teatro Grimaldello e Noceracconta – con il patrocinio del comune di Nocera Inferiore – hanno organizzato nel teatro Diana. “Il baciamano” di Manlio Santanelli – questa l’opera in scena – è stato un lungo e struggente scambio di battute tra la protagonista-carnefice, Janara, interpretata da una brava Annarita Vitolo, e la sua vittima designata, un soldato giacobino, interpretato da un altrettanto bravo Vincenzo Albano. L’opera, in cui la regia di Antonio Grimaldi è risaltata in modo importante, per chi ne conosce la forza, con la cura minuziosa alla presenza scenica, ai dettagli, e finanche ai più insignificanti sospiri degli attori, ha raccontato una Napoli rivoluzionaria di fine ‘700, in cui forti e stridenti sono le differenze tra i diversi ceti sociali. Janara, in un dialetto stretto e popolare – la cui comprensione a volte è stata difficile distraendo gli spettatori dalla preziosa regia di Antonio Grimaldi e dalle grandi capacità interpretative della Vitolo e di Albano –  espone la sua storia di donna sottomessa al marito e schiava di una vita invero misera. Nelle sue parole, piene di rabbia e rimpianto insieme, si sono letti i disagi dello stare al mondo di una donna non amata, indurita dalla vita e dalle sofferenze. A poco valgono le parole della sua vittima che tenta di scavare nella vita della protagonista per cercare il perché della sua misera esistenza. Il momento centrale dell’opera si è proiettato tutto nel desiderio struggente di Janara di provare, almeno una volta nella vita, la sensazione dell’essere una donna amata e desiderata da qualcuno. E il protagonista maschile – il soldato giacobino – pur conscio dell’imminente fine della sua vita per esser destinato ad un atto becero di cannibalismo causato dalla miseria più nera imperante nella Napoli del racconto – si commuove intimamente e, mosso a compassione per colei che di li a poco lo avrebbe ucciso e fattone cibo per lei, i suoi quattro figli e l’odiato marito (un relitto umano ubriacone, picchiatore e violentatore sessuale secondo il racconto della protagonista)  prova a farle vivere un momento di delicata emozione, raccontandole del baciamano di un nobile nei confronti della donna amata, e mettendo poi in scena il suo racconto, arrivando a baciarle egli stesso la mano. Questo gesto provoca nella donna una grande concitazione. Tra i due si crea un momento di forte e intensa passione che culmina in una unione sessuale quasi violenta. La vicenda si conclude -comunque- con l’uccisione dell’uomo da parte di Janara, che, piegata sul corpo di lui ormai privo di vita, ne bacia la schiena fredda, pronta a dimostrate i suoi sentimenti per lui e quasi a dire che l’amore rende umani i lineamenti più duri di un animo sofferente.

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