Quando la crescita economica scompare e i tassi d’interesse diventano negativi, anche il contratto sociale del risparmio si trasforma

Siamo alla vigilia di qualcosa di esplosivo ed inesplorato nel mondo della finanza e, a cascata, in campo economico-sociale.   
Titoli dello Stato a zero interessi possono concepirsi in fasi di forte deflazione (diminuzione progressiva dei prezzi) attuale e prospettica.
In tal caso l’investimento, fermo il valore nominale, di fatto offre maggior potere d’acquisto al momento del rimborso. L’effetto, ovviamente, è più tangibile con scadenze titoli a medio/lungo termine.
Si impone, pertanto, un cambio radicale nel concetto di gestione del risparmio e nella conseguente attesa di reddito esclusivo o aggiuntivo.
Domanda non indifferente: perché i risparmiatori dovrebbero sottoscrivere titoli a rendimento sotto zero in un Paese con un debito pubblico pari a 2.160 miliardi di euro, abnorme e sbilanciato rispetto al PIL?
Perchè dovrebbero sommare al mancato guadagno il rischio incombente di non-rimborso legato al grado di affidabilità internazionale (rating): BB-?
Va sottolineato che, con la riduzione dei tassi, dovrebbe ridursi l’esborso annuale per interessi sul debito pubblico italiano pari, attualmente, a circa 90 miliardi di euro.
La deflazione, però, comporta un rallentamento dell’economia nazionale (minori consumi, minori investimenti) e la contrazione del fatturato complessivo, con conseguenze tutte da verificare.
Annotazione d’obbligo: il Giappone combatte la deflazione da oltre venti anni e non riesce ad uscirne.
Domanda implicita: come farà lo Stato italiano a finanziare i suoi fabbisogni finanziari a fronte di comprensibile minore richiesta di Buoni ordinari del Tesoro (BOT) e Buoni del Tesoro poliennali (BTP) e di prevedibili minori entrate fiscali?
I prossimi mesi forniranno puntuali risposte più o meno soddisfacenti per le aspettative di tutti i cittadini.

Sàntolo Cannavale

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