«Il volume si intitola “Lettere dalla Terra” ed è di Mark Twain. Gli ho cambiato posto decine di volte, e non sono ancora riuscito a scoprire perché la figlia dell’autore ci ha messo anni per autorizzarne la pubblicazione»
di Mimmo Oliva
Avevo preparato questo pezzo all’indomani della boutade di un architetto riguardo la caserma della sua città, ma per tutta una serie di motivi non si è riusciti a pubblicarlo a tempo. E così lo scorrere del tempo aiuta a ragionare meglio e con più freddezza. Nonostante ciò però, leggendo e rileggendo mi sono reso conto che le brutture che si dicono, o si esclamano, ormai sono continue e tentare di legare una vicenda in particolare al corpo dell’articolo riesce quasi impossibile. E tutte le cose che scrivevo prima, non so per quale strana coincidenza, mi hanno fatto venire in mente la storia, strana, tra me e un libro. E’ una storia che voglio raccontarvi: il libro è “Lettere dalla Terra” di Mark Twain ed è importante che io vi dica che l’edizione in mio possesso è del 1964, l’anno in cui sono nato e questo forse è ciò che ci lega. L’ho trovato sulla mensola di una libreria nella mia vecchia casa (prima che mi sposassi) e sarà stato probabilmente verso metà degli anni ’70.
L’ho preso e ho cominciato a sfogliarlo soffermandomi su alcune pagine in particolare. Prima pagina 13 e poi da pagina 29 a 33. Poi l’ho rimesso sullo scaffale, e dopo qualche hanno l’ho ripreso e mi sono soffermato sulle stesse pagine. Invece che sullo scaffale l’ho appoggiato sul mio comodino lasciandolo lì qualche anno, e, poco prima di sposarmi, l’ho rimesso sullo scaffale e sono andato a vivere altrove ma sempre con la voglia di riprenderlo e di leggerlo. Finalmente verso la fine degli anni ’90 sono ritornato nella vecchia casa, sono andato nella vecchia libreria e sul vecchio scaffale ho ripreso il libro.
L’ho portato a casa mia e l’ho poggiato nel mio studio nella mia nuova libreria, ancora una volta senza riuscire a leggerlo ma sempre sfogliando le stesse pagine. Un paio di anni fa l’ho preso dalla mia libreria e l’ho appoggiato sulla scrivania nel mio studio e come al solito ho letto pagina 13 e poi da pagina 29 a 33. Dopo un po’ tento di essere più deciso. Lo prendo dalla scrivania nel mio studio e lo porto sul comodino della mia stanza da letto e penso che vedendolo tutti i giorni (al risveglio e la sera prima di addormentarmi) probabilmente riuscirò a leggerlo. L’ho risfogliato riguardandomi le solite pagine, il libro è lì sul mio comodino e ancora non riesco a leggerlo.
Lo riconosco: questa, tra me e il libro, è una strana storia.
Pagina 13 comincia così: “E’ un posto strano, straordinario ed interessante. Da noi non v’è nulla di simile: la gente è tutta pazza, gli altri animali sono pazzi, la terra è pazza, la natura stessa è pazza. L’uomo è un fenomeno incredibile… è convinto di essere il preferito del Creatore…”.
Continua ancora ovviamente ma ogni volta leggo e rileggo la pagina, l’ho letta di sicuro centinaia di volte e nonostante tutto non riesco ad impararla a memoria ma neanche a staccarmene.
Le pagine da 29 a 33 poi: “…verso mezzodì, si scoprì che era stata dimenticata una mosca … la mosca non era stata dimenticata per caso. Quella mosca era stata lasciata indietro perché potesse trovare un cadavere di un morto di tifo e nutrirsi di materia decomposta, imbrattandosi le zampe di germi, sì da poterli consegnare ad una attività permanente in un mondo ripopolato. Da quella sola mosca, nei secoli che sono da allora trascorsi, sono stati riempiti miliardi di letti, miliardi di corpi distrutti sono stati messi in zoppicante circolazione nel mondo, e miliardi di cimiteri sono stati riforniti di merce”.
Rivado a posare il libro sul comodino e spero che la prossima volta riesca a leggere cosa ha scritto il mio maledetto amico Mark. Un motivo ci sarà se Clara (la figlia) ha aspettato decenni prima che ne autorizzasse la pubblicazione.
Del resto, le mosche non moriranno mai, o no?