La giornalista emigrante fa il primo incontro con quell’ammasso lattiginoso ed ovattante che quasi nasconde agli occhi il paesaggio delle prime ore mattutine. E il caffè, discutibile nel gusto, toglie voglia di fermarsi a berlo. Da soli

di Patrizia Sereno

Prima o poi doveva succedere. Certo, meglio poi. Ma non puoi dimenticare dove sei, geograficamente parlando! E a ricordarti che questa è la Lombardia stamattina ci pensa … la bruma. Non nebbia vera e propria, sia ben chiaro. Qui dicono che da anni non c’è più quella di una volta che tutto avvolgeva e che creava affanno finanche negli spostamenti a piedi.
Non nebbia. Bruma si. Lattiginosa. Ovattata ed ovattante.
Eccola qui, di prima mattina, per le strade di Legnano laboriosa. Che strana sensazione. Sembra che filtri suoni e luci. E così tutto fa meno rumore: le spazzole del macchinario che pulisce le strade, il meccanismo sincronizzato dei mezzi della raccolta differenziata, i motori delle auto di chi esce presto per andare al lavoro, le saracinesche di quegli esercizi commerciali che aprono prima degli altri. E hanno un alone particolare i riflessi delle luci dei bar che si affacciano sulla strada portando con loro il profumo della colazione. Penso che si ad impregnare l’aria fosse l’odore del nostro – e dico nostro nel senso più terrone del termine – caffè, riuscirebbe a fendere la bruma.
Prima o poi doveva succedere, dici a te stessa mentre ti muovi un po’ impacciata. Come se la bruma avesse influenza anche suoi tuoi movimenti. Scacci ogni tentazione di cadere nella malinconia e cerchi a tutti i costi il lato costruttivo della vicenda. Bhè, vorrà dire che qui si sentirà con anticipo il conto alla rovescia verso Natale. Te lo ripeti fino a che il tran tran quotidiano non entra nel vivo, impegnando il cervello in altre attività ed altri pensieri, soprattutto. Ma poi ecco che la quotidianità si diverte a spiazzarti e a darti scacco. Tanto per farti ben capire chi è che firma la regia della tua vita. Guardi fuori dalla finestra della classe e ti trovi a posare lo sguardo su cose e case lambiti dal sole. Un po’ palliduccio, come da manuale qui. Ma pure sempre sole. Con raggi caldi. Quelli che ti illuminano il resto della giornata e mantengono alte le temperatura. Ottimo antidoto alla nostalgia, ti viene spontaneo pensare. Anche se sai che, comunque, il sole, quello della tua Terronia, te lo porti dentro ovunque vai e lo tiri fuori come il migliore fazzoletto per asciugare le lacrime, come il più efficace degli unguenti per lenire il dolore della ferita del distacco…
«Bene, è passata», ti suggerisce la vocina che si muove in piena libertà tra mente e cuore. Passata? Macché. A riportati con i piedi per terra, all’uscita dalla scuola materna, è il tuo piccolino di tre anni. «Non voglio questa casa», ti dice. «Non voglio questi bimbi qua», aggiunge. E poi rincara la dose: «Voglio casa l’altra… Voglio i nonni… Voglio papà e Nanni». Ha detto tutto. Ha fotografato in pieno il più insidioso e destabilizzante degli stati d’animo: la nostalgia. Nostalgia della tua Terra, quella dei tuoi affetti, di quelle che pensavi essere le certezze granitiche della tua vita. Quella nostalgia che nulla può sconfiggere. Gentili, disponibili, professionali: ecco come sono quelli che ti circondano. Ma a te manca la tua vita “prendente”. Te ne accorgi quando aspetti una telefonata che non arriva; quando vorresti affacciarti al balcone e vedere la signora di fronte che – come te – stende il bucato; quando passi davanti ad un bar e sai che non ti fermerai lì perché non c’è nessuno con cui hai appuntamento. Oltre al fatto che il caffè è …discutibile!
Niente da aggiungere… prima o poi doveva succedere…

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